“Non sento la mia famiglia da più di due settimane, spero stia bene”. Adam Nor, un ragazzo sudanese arrivato in Italia dal Darfur a soli 8 anni per avere un’istruzione. Adam parla a Lumsanews della sua storia e di quella della sua famiglia con la voce spezzata dal pianto. Con la commozione di chi non sa quando finirà la guerra in Sudan e potrà riabbracciare i propri cari.
Quando viveva in Sudan, com’era la sua vita?
“Io sono nato in Darfur occidentale, a El-Geneina, ora ho 29 anni e sono stato un bambino soldato: nel 1998 sono stato arruolato dall’esercito sudanese perché in quel periodo sono iniziate molte guerre proprio nel Darfur, quindi l’esercito ci addestrava già da piccolissimi. Ho prestato servizio militare per due anni fino all’età di 6 anni e da subito ho capito che in quel Paese non si poteva restare, non c’era spazio per me, io volevo studiare”.
Qual è stato il motivo che le ha fatto prendere la decisione di lasciare il suo Paese?
“D’estate con la mia famiglia vivevamo in città ma d’inverno ci spostavamo nei campi per coltivare la terra. Da quando ho finito il servizio militare, ogni volta che tornavo dal campo, la polizia mi arrestava ovunque mi incrociava. Il governo, senza un apparente motivo, sospettava che io facessi parte dei ribelli. Allora mia mamma mi diceva sempre di andare via. “Devi lasciare subito questa città”, diceva. Così ho deciso di trasferirmi da mia nonna a Khartoum. Sono rimasto nella capitale per un anno e poi sono tornato a El-Geneina dalla mia famiglia. La polizia, però, ha continuato a perseguitarmi, così ho deciso di lasciare il Sudan e venire in Italia, dove sono entrato da minorenne nel 2002”.
In che situazione si trova la sua famiglia in questo momento?
“È riparata in Ciad come la maggior parte dei cittadini del Darfur. Te lo dico con tutto il cuore, la situazione è drammatica. Non hanno medicine, né cibo, né acqua, né vestiti, né un tetto sopra la testa, non c’è un campo da coltivare perché il Ciad è un paese desertico. Quando piove non si possono neanche riparare e così si ammalano. Se io non lavorassi in Italia e non gli mandassi i soldi, loro morirebbero. L’ultima volta che li ho sentiti neanche loro sono riusciti a descrivermi la situazione per quanto piangevano”.
Quando ha sentito la sua famiglia l’ultima volta?
“Due settimane fa, non riesco a parlare con loro perché non c’è connessione. Spero che stiano bene. I miei cugini, invece, non li sentirò mai più perché il 12 novembre sono stati sepolti vivi dalle Forze di supporto rapido”.
Pensa che le organizzazioni internazionali stiano facendo abbastanza per risolvere la situazione in Sudan?
Oggi ci sono oltre 400.000 profughi in Ciad dal Darfur, altri continuano ad arrivare. Non c’è nessuna organizzazione internazionale che aiuta queste persone. Il mondo occidentale pensa soltanto alla Palestina e all’Ucraina. In Darfur è in atto una mattanza e nessuno ne parla, nessuno lo vede.