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Non è (più) un Paese per rifugiati

di Giorgio Saracino28 Marzo 2019
28 Marzo 2019

In this March 29, 2016 picture German Navy sailors ad Finish Special Forces surround a boat with migrants near the German combat supply ship 'Frankfurt am Main' during EUNAVFOR MED Operation Sophia in the Mediterranean Sea off the coast of Libya . (ANSA/AP Photo/Matthias Schrader)

“Non ho mai visto un’Italia così razzista. Ora purtroppo è diventato una cosa normale. Soprattutto in questi ultimi mesi, da quando è arrivato il nuovo governo: i politici trasmettono odio e razzismo ai cittadini”, dice Dawood Yousefi, afghano di 34 anni, in Italia da 17.

“Eccome se è aumentato il razzismo. E la responsabilità è della politica: eppure la Lega – il partito che ora più fomenta questo odio verso gli immigrati – aveva governato anche prima. Quando sono arrivato c’era il centrodestra a Palazzo Chigi”, ribadisce Franck Tayodjo, giornalista camerunense con lo status di rifugiato dal 2005: “La politica istiga le persone contro gli immigrati, mettendogli in testa che siano male intenzionati, che sono loro che stuprano e rubano il lavoro”.

Dawood è uno dei 167.335 rifugiati in Italia, cifra raddoppiata nel 2017 rispetto al 2013 secondo l’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite. Un numero che in Italia corrisponde a 2,8 persone ogni 1000: “Io sono andato via dal mio Paese quando avevo 16 anni, perché ero stato minacciato, dopo la morte di alcuni miei compagni di scuola. Ho deciso di partire per non uccidere e non essere ucciso”. Dawood ora vive a Roma e lavora in una scuola elementare della Capitale con alunni disabili.

La maggior parte dei rifugiati proviene infatti da nazioni in guerra: un richiedente asilo su tre arriva da Iraq, Afghanistan e Siria. E siriana è Essa Nour, una biologa di 31 anni: “Siamo rifugiati politici dal 2016. La guerra nel mio paese è iniziata nel 2011 ma noi abbiamo resistito perché avevamo un lavoro, una casa, una vita. Poi mio marito è stato chiamato per il servizio militare, e allora abbiamo deciso di partire. Grazie a un trafficante siamo arrivati in Turchia, per andare poi in Grecia”. Un anno lì, poi la svolta grazie a Papa Francesco: durante la sua visita all’Isola di Lesbo, il Pontefice sceglie tre famiglie di migranti da portare con sé in Italia. C’è anche quella di Essa Nour, che arriva a Roma.

Molti migranti – come Franck – sbarcano invece dall’Africa, da Paesi come Nigeria, Libia e Camerun. “Non ho deciso di venire in Italia, le circostanze mi hanno portato qui. Io ero un giornalista d’inchiesta e questo mi ha causato problemi, dopo che nel 2003 ho denunciato dei brogli elettorali. Il governo ha creato una polizia segreta. Io sono stato prelevato da casa, arrestato e trascinato in cella. Sono scappato dalla prigione e sono arrivato in Nigeria, sono salito sulla stiva di un aereo e da lì a Fiumicino. Ora sono in Italia da 16 anni, è la mia seconda patria. Voglio bene all’Italia e agli italiani. Ma quando ti chiamano “sporco negro”, diventa frustante vivere”.

Dawood, Essa e Franck sono tre dei rifugiati che prendono parte al progetto Disco CoLab, Democratic and Inclusive School Culture in Operation. Finanziato dall’Unione Europea, ha lo scopo di abbattere gli ostacoli nel processo di integrazione nei Paesi d’accoglienza. Vi partecipano alcune università europee: per l’Italia, la Lumsa.

Sono 1.036 gli episodi di razzismo registrati dal 10 settembre 2010 al 31 dicembre 2017 dall’Oscad della Polizia di Stato, l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori. Quasi un terzo, 272, si sono manifestati sul web.

“Ma in grandissima parte le violenze subite non vengono neanche denunciate”, sostiene Grazia Naletto, presidentessa di Lunaria, associazione che dal 1996 promuove attività di ricerca, campagne sul tema delle migrazioni e contro il razzismo. “Negli ultimi anni la violenza di una certa propaganda politica e le innovazioni delle nuove tecnologie hanno contribuito a creare un clima di ostilità. C’è una responsabilità della rete, ma anche dei media tradizionali”.

Dello stesso avviso il portavoce italiano di Amnesty International Riccardo Noury: “Questa caccia al nemico, allo straniero, attraverso frasi offensive e fake news ha dominato la campagna elettorale. La questione degli sbarchi si è risolta originando scempi in Libia: abbiamo testimonianze di torture, stupri, riduzione in schiavitù”.

E infatti gli arrivi dei migranti irregolari in Italia – secondo Frontex – non sono mai stati così pochi negli ultimi nove anni come quelli registrati nello scorso febbraio. Non solo: l’Eurostat rende noto che l’Italia è il Paese dell’Ue che ha registrato il calo maggiore di domande di asilo nel 2018, il 61% in meno rispetto al 2017. E gli sbarchi sono passati – secondo i dati pubblicati dal ministero dell’Interno – dai 119.369 del 2017, ai 23.370 del 2018 fino ai 384 nei primi due mesi e mezzo del 2019.

Ma il fenomeno del razzismo è davvero in aumento in Italia? “Non sono le tendenze xenofobe a lievitare, ma si tratta piuttosto di un ‘liberi tutti’ – sostiene il sociologo Mario Pollo -. Ognuno di noi ha dentro di sé una parte oscura. Negli ultimi tempi alcune forze politiche hanno dato legittimità a queste pulsioni: è stato detto che era legittimo manifestarle e che non erano sentimenti di cui vergognarsi. Non sono le persone ad essere diventate xenofobe, razziste e intolleranti da un momento all’altro. È una ‘liberazione’ che prende a pretesto i dati sugli sbarchi: se il razzismo e gli arrivi dei migranti fossero due tendenze collegate, ora dovremmo assistere a una diminuzione dei fenomeni xenofobi. E così non è”.

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