All’indomani delle nomine decretate da Matteo Renzi dei nuovi manager pubblici alla guida delle holding di stato, quattro delle quali presiedute da donne, si moltiplicano le polemiche relative soprattutto all’inserimento all’interno dei consigli di amministrazione dei colossi di stato, di fedelissimi vicini al premier.
Il quotidiano Repubblica parla di “renziani di ferro” la cui punta di diamante è rappresentata da Alberto Bianchi, presidente della Fondazione Open, “tesoriere” nelle campagne elettorali del presidente del Consiglio, al quale è stato riservato un posto nel consiglio Enel, e della fiorentina Elisabetta Fabri, numero uno di Starhotels entrata nel cda delle Poste.
Molti renziani nei cda “Da Alberto Bianchi in Enel, amico del premier e avvocato di Carrai, a Diva Morani (Eni), da Fabrizio Landi (Finmeccanica) fino ad Antonio Campo dall’Orto (Poste) i renziani occupano pure i colossi di Stato”, ha attaccato Libero.
Anche l’approdo a Eni di Andrea Gemma, avvocato e collaboratore di Angelino Alfano, insieme con la folta schiera di rappresentanti vicini al Nuovo Centrodestra, hanno destato, nel giro di poche ore, non poche critiche.
“La presidente Luisa Todini non mancherà di suscitare polemiche per il suo passato politico: imprenditrice di capacità indubbie, nel 1994 è stata eletta parlamentare europeo nelle liste di Forza Italia” è stato il commento della Stampa relativamente alla nomina del nuovo manager alla guida di Poste.
Le nomine deludono la Borsa Le scelte del premier per le aziende pubbliche non sembrano piacere nemmeno alla Borsa, con Piazza Affari che ha chiuso in calo del 2,3%, mentre il titolo di Finmeccanica, azienda per la quale il governo ha optato varando una soluzione di rottura con la nomina di Mauro Moretti al posto di Alessandro Pansa, ha chiuso al 5,22%.
“Un massacro della vecchia guardia italiana” Se i due quotidiani finanziari più influenti sulle piazze internazionali, il Financial Times e il Wall Street Journal hanno plaudito alle scelte attuate dal governo Renzi, parlando di ”massacro della vecchia guardia italiana”, incertezza e un certo scetticismo spopolano soprattutto tra coloro che giudicano poco felice una scelta di nomine effettuata seguendo i meccanismi democristiani del vecchio manuale Cencelli.
Il conflitto di interessi Emma Marcegaglia Sul Fatto è Salvatore Cannavò ad attaccare la scelta di Emma Marcegaglia alla guida di Eni, che “ritorna in auge dopo la parentesi confindustriale in cui alternò una prima fase in sintonia con il governo Berlusconi per poi mettersi alla testa dell’operazione Monti”. Ed a quanti la accusano di conflitto di interessi, la vicepresidente e amministratore delegato dell’azienda di famiglia, presidente anche della Business Europe e della Luiss, l’Università della Confindustria, Emma Marcegaglia, smentisce eventuali rapporti di affari tra le propria impresa e il gruppo industriale italiano. Di certo il nuovo incarico del presidente in pectore del “cane a sei zampe” non ha portato bene allo stabilimento Mercegaglia Buildtech di Milano che produce pannelli per l’edilizia industriale, per il quale è stata annunciata la chiusura, proprio in contemporanea con la nomina del suo amministratore delegato che preferisce piuttosto parlare di un “trasferimento”.
Liquidazioni d’oro ai manager silurati Dal calderone di ripescati e fedelissimi, rinfrescati del vento di un dubbio rinnovamento renziano, si propagano le polemiche che si mescolano con quelle relative alle liquidazioni spettanti ai manager silurati. Un tesoretto che, stando a quanto rivelato da l’Espresso, ammonta a circa 25 milioni di euro.
Samantha De Martin