Quasi trent’anni al fianco dei prigionieri politici, contro gli abusi di potere del regime di Minsk. È questa la motivazione con la quale è stato assegnato il Nobel per la Pace al dissidente bielorusso Ales Bialiatski, in carcere dal 2014, che nel 1996 ha fondato il Centro per i diritti umani “Viasna” con sede nella capitale del Paese. Da quel momento è diventata la più importante organizzazione non governativa della Bielorussia, impegnata nel documentare la violazioni dei diritti umani e monitorare le elezioni. Il presidente del Comitato per il Nobel, Berit Reiss-Andersen, dopo aver conferito il premio, ha chiesto a Minsk la liberazione immediata di Bialiatski.
A ricevere il prestigioso riconoscimento, per l’impegno nella costruzione della pace, sono state anche l’Ong russa “Memorial”, che in patria è stata chiusa perché ritenuta «agente straniera», e l’organizzazione umanitaria ucraina “Center for civil Liberties”. L’organizzazione russa è stata fondata nel 1989 dal Nobel per la pace Andrej Sakharov e custodisce la memoria delle vittime del Terrore staliniano, mentre quella ucraina è impegnata a documentare, sin dall’inizio del conflitto, i crimini di guerra russi contro la popolazione aggredita. Anche nel loro caso, il premio è stato conferito per l’«impegno in difesa dei diritti umani».
L’evento ad Oslo è stato anche l’occasione per il Comitato di ribadire al presidente russo Vladimir Putin, che «deve smettere di reprimere gli attivisti». Anche la vice ministra degli Esteri italiana, Marina Sereni, è intervenuta scrivendo sul suo profilo Twitter che dal Premio Nobel per la Pace 2022 «arriva un messaggio chiaro e forte: la pace senza diritti umani non può esistere» e «il ruolo della società civile è essenziale».