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Nft e cripto-acquisti
La speculazione online
tra arte e mercato

Il professor Polidoro a Lumsanews

“Non credo stravolgerà le nostre vite”

di Claudia Torrisi03 Febbraio 2022
03 Febbraio 2022

Piero Polidoro è professore di Filosofia e Semiotica presso l’Università Lumsa di Roma ed è esperto di reti sociali. A Lumsanews ha spiegato le dinamiche economiche e sociali che spingono le persone a investire nel cripto-universo e quali sono i pregi e i difetti del fenomeno Nft.

Gli Nft rappresentano il futuro della speculazione digitale. Cosa spinge le persone a investire in questo tipo di mercato?
“Credo che la parola chiave per risponderle sia nella sua domanda: speculazione. Penso che questo sia il motivo fondamentale (e consapevole) per questo tipo di investimenti, che possono raggiungere valori sbalorditivi: a marzo 2021 l’opera digitale “The First 5000 Days” dell’artista chiamato Beeple è stata venduta da Christie’s per quasi 70 milioni di dollari. O meglio, sarebbe più corretto dire che ad essere stato venduto è, più che l’opera (un file jpg), il suo Nft, cioè un certificato di proprietà. Ciò significa che il proprietario non avrà il possesso materiale dell’opera (l’opera è digitale e quindi immateriale); né sarà l’unico a poterla guardare o mostrare: ci sono molte immagini di “The First 5000 Days” disponibili sul web, e molte anche ad ottima definizione. Non è molto chiaro neanche l’aspetto dello sfruttamento dell’opera: ci sono casi in cui l’Nft lo esclude chiaramente; altri in cui il concetto è semplicemente inapplicabile. Se, infatti, il primo tweet della storia (quello di Jack Dorsey, uno dei fondatori di Twitter) viene venduto tramite Nft a circa 3 milioni di dollari, che senso ha parlare di diritti di sfruttamento? È visibile in qualsiasi istante a chiunque abbia accesso a Twitter. Quindi credo che il motivo principale che spinga a investire in Nft sia la speranza di poterli rivendere a un prezzo maggiore, magari sfruttando il grande interesse (o clamore) che si è creato sull’argomento. Secondo alcuni, poi, una motivazione può essere anche il voler “esserci”, il voler partecipare a questo movimento, per realizzazione personale o perché rafforza la propria immagine. Tornando alla speculazione, comunque, va detto che non è certo da oggi che essa rappresenta uno dei meccanismi più importanti del mercato dell’arte”.

Secondo lei si tratta quindi di pura speculazione o di una moda che rischia di risolversi in una grande bolla?
“Possedere qualcosa di unico e assolutamente originale è, da molto tempo, una delle molle del collezionismo. Ci possono essere collezionisti che amano avere pezzi non unici, che li legano ad altri possessori che appartengono alla stessa comunità. O collezionisti amanti del pezzo unico, da esporre o da custodire gelosamente e, alle volte, segretamente. Qui però c’è da capire che cosa si possiede. In realtà, acquistando un Nft, si possiede per lo più un certificato di proprietà (vedi l’esempio precedente del primo Tweet). Forse dobbiamo prendere ancora le misure con questo fenomeno; forse dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare, per poterlo pienamente apprezzare. Ma probabilmente io sono, da questo punto di vista, un conservatore e non ho ancora compiuto questo processo. E quindi penso che si tratti di qualcosa che forse resterà, ma non è destinata ad avere quella centralità che qualcuno prefigura. Diciamo che la mia, più che una previsione (non mi azzardo a farne), è una speranza, magari un po’ moraleggiante”.

Quali sono secondo lei i pregi e i rischi che il mondo degli Nft porta con sé?
“In generale, possono essere gli stessi della tecnologia-madre, la blockchain. Senza scendere in dettagli tecnici, che non sono fra l’altro il mio campo, si tratta di un sistema molto sicuro di gestire transazioni e tenerne traccia. Con gli Nft, a causa del ricorso ai marketplace, viene un po’ meno uno dei vantaggi della blockchain, cioè la totale disintermediazione. Un problema, che preoccupa molto in queste settimane, è quello del grande dispendio energetico che queste tecnologie comportano. Nello specifico, l’Nft è certamente un modo interessante ed efficace di sostituire un certificato di autenticità cartaceo. Il discorso diventa più complesso (e incerto) quando si unisce questa caratteristica all’immaterialità anche del prodotto la cui proprietà viene certificata; ma questo è proprio il caso di cui si parla di più: quello delle opere d’arte digitali”.

Al momento gli Nft rappresentano un mondo di nicchia: secondo lei sono destinati a crescere fino a diventare accessibili a tutti?
“Diciamo che la tecnologia c’è. Il suo funzionamento è complesso e la sua comprensione effettiva limitata ai tecnici, ma questo di solito non impedisce a una tecnologia di diffondersi. La questione, piuttosto, è: quali bisogni soddisfano gli Nft? A cosa ci servono? Cosa ci permettono di fare? Come dicevo, sicuramente è un modo interessante per attestare una proprietà (al di là del discorso sull’arte digitale) e magari in tal senso troverà un’applicazione più vasta. Anche limitatamente ai prodotti digitali, non bisogna pensare solo a casi eclatanti, come quelli citati prima, ma magari a transazioni di entità molto più limitata, sempre che siano compatibili con il problema del dispendio energetico. Però, se proprio mi devo sbilanciare, non credo che sia questa la tecnologia che stravolgerà le nostre vite nei prossimi venti o trent’anni”.

Gli Nft sono spesso associati al mercato dell’arte digitale. Lei pensa che questo possa essere il futuro dell’arte contemporanea? E specialmente, si tratta di un futuro che potrà essere socialmente e universalmente accettato?
“Ci sono tanti modi di definire l’arte e per ognuno ci sarebbe una risposta diversa a questa domanda. Quello che colpisce (ma forse non dovrebbe, se ragioniamo non in termini di arte, ma di mercato dell’arte) è che si è molto parlato di “The First 5000 Days”, ma non sono sicuro che poi molte persone si siano soffermate a guardare l’opera. Beeple è anche un personaggio simpatico e “The First 5000 Days” può avere diversi spunti interessanti, ma certo è difficile imbastirvi attorno un’analisi e un discorso critico paragonabile a quelli che la critica d’arte, in tanti modi diversi, ha avuto modo di costruire a partire da tante opere del passato o del presente. E, intendiamoci, il valore di questa specifica opera non è neanche, come nell’arte concettuale, l’idea che essa veicola, indipendentemente dal suo valore materiale o estetico; il suo valore dipende, preponderantemente, dal modo in cui è stata venduta. Questo ha certamente un grande interesse in termini di economia, sociologia dell’arte, ecc. Io però sono ancora affezionato all’idea che l’arte, in un modo o nell’altro, ci colpisca profondamente, ci trasformi, ci dia – attraverso idee e sensazioni – modo di ragionare su di noi e sul mondo. Credo anche che questa esigenza, innata, non si sia spenta e che le persone continueranno a cercare di soddisfarla, magari in nuovi modi o fra nuove distrazioni”.

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