Nuovo capitolo nella guerra tra il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e i media americani. La settimana scorsa aveva destato clamore la cacciata, dal briefing quotidiano, di giornalisti appartenenti a testate di spicco come il New York Times, il Los Angeles Times e la Cnn. Alcuni giorni dopo lo stesso Trump aveva sferrato un nuovo attacco alla stampa, disertando (prima volta nella storia Usa) la cena dell’associazione dei corrispondenti della Casa Bianca. Il New York Times, relativamente all’esclusione dei propri giornalisti dal briefing, aveva parlato esplicitamente di “violazione del protocollo” in rapporti con la stampa.
Ma nelle ultime ore lo stesso New York Times ha sferrato una controffensiva ancora più massiccia, pubblicando sul proprio sito un fact checking del primo discorso tenuto ieri da Trump di fronte al Congresso. Il fact checking altro non è che la verifica dei fatti, o delle fonti, così da appurare se una notizia, o una affermazione, sia vera oppure no. Si tratta di una pratica quanto mai necessaria oggi, nell’era delle bufale infestanti il web. Ebbene il New York Times ha deciso di ripagare Trump della stessa moneta: il Presidente americano accusa la stampa di diffondere falsità, la stampa decide quindi di combatterlo sul suo stesso terreno, quello delle bugie.
Troviamo così sul sito del giornale newyorkese un elenco di virgolettati, con le frasi più significative pronunciate da The Donald e gli opportuni appunti mossi dal giornale. «Il tasso di omicidi nel 2015 ha conosciuto il suo più grande aumento di un solo anno in quasi mezzo secolo», ha affermato il tycoon. «Vero», risponde il Times, «ma un po’ fuorviante», in quanto «le statistiche sulla criminalità FBI stimano che ci sono stati 15.696 omicidi nel 2015, in crescita del 10 per cento a partire dal 2014. I dati dello scorso anno non sono ancora disponibili. L’incremento è dovuto in gran parte alla criminalità di strada in una manciata di grandi città, come Chicago e Baltimora».
Altra affermazione, altra risposta: «Abbiamo perso più di un quarto dei nostri posti di lavoro manifatturieri dall’approvazione del Nafta», sostiene Trump, riferendosi al “North American Free Trade Agreement” (Accordo nordamericano per il libero scambio). Risposta del Times: «Gli Stati Uniti hanno perso un sacco di posti di lavoro in fabbrica dal 2000, ma la ragione principale è il progresso tecnologico, non la concorrenza straniera. La produzione manifatturiera degli Stati Uniti è al livello più alto nella storia, semplicemente non vengono assunti più lavoratori per svolgere altre mansioni. Alcuni posti di lavoro sono stati persi a causa della concorrenza estera, ma gli studi assegnano un ruolo modesto al Nafta».
Ed ancora sul tema del lavoro: «Novantaquattro milioni di americani sono fuori della forza lavoro», ha tuonato Trump. Ma il New York Times ha fatto ordine precisando che si tratta di un dato fuorviante, poiché «Questo è più o meno il numero di americani di età superiore a 15 anni, che non hanno un lavoro. Ma include gli studenti delle scuole superiori e gli universitari, le persone con disabilità e milioni di pensionati. Il numero di americani che vorrebbero lavorare, ma non riesce a trovare lavoro è molto più piccolo. Il Bureau of Labor Statistics stima che circa 7,6 milioni di persone erano disoccupate a gennaio».