WASHINGTON – “Con Trump avrò un confronto storico”. Non ha dubbi il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, volato a Washington per incontrare l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente Steve Witkoff, in attesa del bilaterale di domani, 4 febbraio, con il presidente americano Donald Trump. Una visita che arriva mentre si attende l’avvio dei colloqui sulla fase due del cessate il fuoco a Gaza, che dovrebbe portare al rilascio di altri ostaggi israeliani, al prolungamento della tregua e al ritiro dell’Idf dalla Striscia.
Netanyahu è il primo leader straniero a essere ricevuto da Trump dopo l’insediamento: un evento che per il premier dello Stato ebraico riflette “la forza dell’alleanza israelo-americana”, ma anche un passo importante per “ridisegnare il Medio Oriente” e “sconfiggere l’asse terroristico iraniano in tutte le sue componenti”. Gli Stati Uniti, inoltre, rientrano tra quei Paesi dove il leader israeliano non rischia l’arresto su mandato della Corte penale internazionale: la superpotenza, infatti, non ha firmato lo Statuto di Roma.
“Le decisioni che abbiamo preso nella guerra hanno già cambiato il volto della regione”, dichiara ancora Netanyahu. Non è un mistero, inoltre, che il premier israeliano conti sull’appoggio di Trump per “ridisegnare la mappa” della regione “ancora di più e in meglio”.
In base all’accordo di tregua, i colloqui sulla seconda fase sarebbero dovuti cominciare a Doha, ma il premier del Qatar Mohammed Bin Abdulrahman Al-Thani aveva ammesso di non avere “dettagli chiari sull’arrivo dei negoziatori”. Sotto pressione dell’estrema destra del suo governo, dunque, Netanyahu – intenzionato a riprendere i combattimenti subito dopo la prima fase – avrebbe rinviato la partenza verso la Capitale qatarina fino al suo colloquio con il presidente americano.
L’incontro tra il leader israeliano e Trump si intreccia con il viaggio in Russia di una delegazione di Hamas, guidata dal vice capo dell’ufficio politico dell’organizzazione Mousa Abu Mazurk. L’obiettivo – riferisce l’agenzia russa Tass citando una fonte interna al gruppo islamico – è quello di “chiedere assistenza a Mosca per alleviare la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza”.
Un altro fronte caldo è quello della Cisgiordania dove nelle ultime ore i raid dell’Idf hanno colpito “tre cellule terroristiche nelle aree di Jenin e Qabatiya”. L’ufficio del presidente palestinese Abu Mazen ha definito “pulizia etnica” l’operazione militare in corso proprio nel West Bank. E ha poi chiesto una sessione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sulla “continua aggressione israeliana contro il popolo palestinese”. Dall’inizio di quella che Israele ha chiamato operazione Muro di Ferro, sono 25 i morti nel campo profughi di Jenin.