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Nella Somalia in fiamme Trump si scopre interventista

di Filippo Saggioro18 Marzo 2025
18 Marzo 2025
Esercito somalo

Esercito somalo | Foto Ansa

Il primo febbraio 2025 il presidente americano Donald Trump ha ordinato un attacco aereo che ha colpito alti comandanti dello Stato islamico nel nord della Somalia. Perché la nuova amministrazione americana, che sta promuovendo il disimpegno militare al di fuori dei propri confini, ha scelto le grotte della Somalia occidentale come primo bersaglio militare?

Nascosto tra le montagne del Miskad, sulla punta del Corno d’Africa, lo Stato islamico ha costruito il suo nuovo centro operativo e finanziario nello Stato federale del Puntland. Il leader del gruppo, Abdul Qadir Mumin, occhiali e barba all’henné, è considerato dall’intelligence statunitense il nuovo califfo globale. 

La suddivisione della Somalia in Stati federali

Mappa creata con Datawraper

Dalla capitolazione dell’ultimo Califfato alla base in Somalia

Dopo la caduta dell’ultimo baluardo dello Stato islamico in Siria e in Iraq nel 2019, il gruppo “è tornato a prendere una forma ‘gassosa’. Non si vede ma esiste”, spiega Domenico Quirico, inviato di guerra e caposervizio Esteri del quotidiano La Stampa. “Lo Stato islamico  prende il controllo di territori considerati marginali dal nemico e si ingrandisce, fino ad avere una forza tale da poter sferrare il colpo decisivo contro il potere centrale”. 

Un editoriale del settimanale ufficiale dell’Isis, Al-Naba, del 12 dicembre 2024, approfondisce le ambizioni del gruppo nell’Africa orientale. L’articolo, intitolato “Somalia: la terra della migrazione e del sostegno”, oltre a promuovere la migrazione nella regione, sottolinea l’obiettivo dell’organizzazione di stabilire nel Paese una base del terrorismo internazionale. “La Somalia è il luogo perfetto per la riorganizzazione dello Stato islamico, perché ci sono enormi masse umane alla soglia della fame che il gruppo riesce facilmente a controllare”, osserva Quirico. 

Una guerra senza fine

La speranza di contenere questa crescente minaccia è nelle mani delle forze armate del Puntland, una remota regione semiautonoma in una delle zone più povere e deboli del mondo. L’ultimo grande scontro è avvenuto lo scorso 11 febbraio, quando i miliziani jihadisti hanno attaccato i soldati somali con autobombe e attentatori suicidi. “Lo Stato islamico è cresciuto nel Paese grazie al metodo dell’assistenza alimentare alla popolazione, della creazione di scuole coraniche e dell’eliminazione del disordine con metodi brutali, come il taglio delle mani e le esecuzioni pubbliche”, racconta Domenico Quirico. 

La Somalia è un governo federale dal 1993, quando, con la caduta del regime di Mohammed Siad Barre, sono collassate le istituzioni statali. “Da quel momento il Paese è precipitato in una guerra civile particolarmente cruenta che, con l’Unione delle Corti islamiche nei primi anni 2000, ha preso le tinte dell’insurrezione jihadista”, spiega Luciano Pollichieni, analista della Fondazione Med-Or ed esperto di Sahel e Corno d’Africa. 

Il campo di battaglia nel Puntland

Mappa creata con Datawraper. Fonte: Washington Post

Le conseguenze del disimpegno militare americano

Per arginare l’avanzata dei gruppi islamisti, il governo federale del Puntland sta cercando l’aiuto dei partner internazionali, compresi gli Stati Uniti. Donald Trump, durante il suo primo mandato, ha completamente ritirato la presenza americana nel Paese. “Il riposizionamento nell’Indopacifico mosso dalla nuova amministrazione americana ha aperto spazi di opportunità per altri attori, che possono essere locali o potenze internazionali”, osserva Gianluca Pastori, professore associato in Storia delle relazioni politiche del Nord America all’Università Cattolica di Milano. 

Tuttavia l’esercito statunitense ha fornito supporto aereo alle forze del Puntland negli ultimi mesi. “Proprio nel manifesto elettorale non ufficiale del secondo Trump, il ‘Project 2025’, viene citata la necessità di mantenere l’impegno statunitense in Africa, nell’ambito della lotta al terrorismo – dice Pollichieni – anche se molti, nell’entourage del presidente americano, rimangono scettici”. 

Un’avanzata da scongiurare

“Il pericolo maggiore è l’avanzata del gruppo verso il sud del Corno d’Africa”, mette in guardia Quirico. Una zona abitata da comunità musulmane, ma dove il modello dello Stato islamico totalitario non è mai arrivato. Questi gruppi vogliono stabilire “una continuità territoriale e scalzare l’attuale esecutivo, che presenta già infiltrazioni islamiste radicali”, spiega il giornalista. 

Reclutamento forzato

Più di una dozzina di miliziani islamisti arrestati dall’esercito del Puntland sostengono di essere stati reclutati con l’inganno dallo Stato islamico nei loro Paesi d’origine e costretti a combattere nella regione. “È probabile che queste dichiarazioni – osserva Pollichieni – siano falsi alibi utilizzati dai combattenti jihadisti per evitare di essere condannati per terrorismo, un reato che in Paesi come la Somalia viene punito con la pena di morte”. 

Lo Stato islamico è diventato una forza combattente più sofisticata, che impiega droni kamikaze, cecchini a lunga distanza e i più moderni esplosivi. “I maggiori finanziatori dello Stato islamico rimangono le fondazioni saudite, Qatar e Arabia Saudita”, sostiene Domenico Quirico. “Ma in Somalia è la Turchia ad avere il peso maggiore, rendendo il Paese una sorta di ‘dépendance’, in cui controlla, decide e ricostruisce”. 

Un futuro in chiaroscuro

Dal 2022 il presidente della Repubblica federale della Somalia è Hassan Sheikh Muhammad, già capo dello Stato dal 2012 al 2017, dopo la fine della fase transitoria. L’attuale amministrazione ha ottenuto alcuni ottimi risultati: le donazioni di Paesi amici hanno cancellato quasi due terzi del debito statale, la Banca mondiale ha finanziato un importante progetto di elettrificazione e l’Onu ha reintegrato la Somalia nel consiglio di Sicurezza, per la prima volta dagli anni ‘70. 

Gli ufficiali dell’esercito del Puntland affermano di aver bisogno dell’aiuto degli alleati occidentali per sconfiggere militarmente lo Stato islamico. “Ma affinché il governo vinca definitivamente questa guerra deve dimostrarsi capace di controllare il territorio e di far funzionare le istituzioni statali”, spiega Luciano Pollichieni, che avverte: “Fino a quando la popolazione percepirà i gruppi jihadisti come più efficienti, la guerra continuerà”. 

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