Il Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ammette di aver commesso un errore sul referendum dove ha condiviso con l’ex premier Matteo Renzi la posizione favorevole alla riforma costituzionale.
In un’intervista a Il Messaggero il mea culpa di Napolitano, che compie un’analisi dell’intero anno politico trascorso, si sofferma in particolare sullo scontro elettorale appena consumato nelle urne, definito da Napolitano troppo politicizzato.
“La personalizzazione e politicizzazione del confronto ad opera dell’allora presidente del Consiglio si è subito trovata di fronte a una personalizzazione alla rovescia da parte delle più variegate opposizioni”, racconta amaro Napolitano, che aveva investito molto su questo progetto, perché credeva nei cambiamenti che si sarebbero potuti apportare.
Del resto, questa necessità di modificare alcuni punti della Costituzione, era già stata avanzata da personalità come Pietro Calamandrei, Giuseppe Dossetti e, negli anni ’80, da costituzionalisti come Pietro Scoppola e Leopoldo Elia. Aver visto fallire questo progetto, afferma Napolitano, rappresenta anche una sconfitta “personale”: in quanto presidente della Repubblica emerito, si è sentito in dovere di “indicare esigenze di rinnovamento della Costituzione, al fine di rafforzarne la vitalità e l’efficacia”.
Dopo la vittoria del No dello scorso 4 dicembre, Napolitano vorrebbe seguire le vicende del governo con maggiore distacco, dedicandosi invece a studi di carattere storico e culturale. Ma è difficile, dopo una vita di militanza politica, abbandonarla. Soprattutto per “l’uomo dei record”, dopo che nel 2014, lasciò le dorate stanze del Quirinale dopo otto anni di mandato: un record mai raggiunto in epoca repubblicana.
Il Presidente emerito è tornato infine a ipotizzare su quali basi si potrebbero effettuare nuove modifiche alla Carta Costituzionale, dopo che il nuovo governo guidato da Gentiloni sarà uscito dalla fase dell’insediamento. Secondo Napolitano “Vedremo che fine faranno annunci rassicuranti sulla possibilità, dopo la sconfitta del Si, di una riforma in tre articoli approvabile in sei mesi”