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“Fine vita”, Napolitano: «Richiamerò il Parlamento»

di Valerio Dardanelli20 Marzo 2014
20 Marzo 2014

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Si riaccende il dibattito sull’eutanasia. In Parlamento, da settembre, giace un progetto di legge firmato da quasi 70.000 cittadini. La proposta prevede l’introduzione del testamento biologico e la legalizzazione dell’eutanasia. Ma dal fronte politico, nessuna novità. A riportare il tema all’attenzione di tutti, ci ha pensato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha lanciato un messaggio chiaro e forte: «Ritengo che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere “un sereno e approfondito confronto di idee” su questa materia. Richiamerò su tale esigenza l’attenzione del Parlamento». Sono le stesse parole che Napolitano aveva già usato nel 2006, rispondendo all’appello di Piergiorgio Welby. Il monito lanciato da Napolitano ha suscitato l’immediata reazione di “Scienza e Vita”, associazione impegnata sui temi legati alla bioetica, che in un comunicato ha sottolineato che «per mantenere aperto il dialogo sul fine vita è necessario dare voce anche ai malati, alle famiglie, alle associazioni che in varie forme, negli ospedali e nel servizio di assistenza domiciliare, si prendono cura dei pazienti». Paola Ricci Sindoni, presidente dell’associazione, ha indicato una via alternativa da percorrere: «Invece di promuovere la soluzione definitoria dell’eutanasia, occorre potenziare la rete delle cure palliative per fornire uan risposta concreta alla sofferenza e al dolore, incrementando adeguatamente le risorse per la ricerca scientifica e il sostegno alle famiglie».

Il messaggio di Napolitano è contenuto in una lettera inviata a Carlo Troilo, consigliere generale dell’Associazione Luca Coscioni, impegnata nel promuovere la libertà di ricerca scientifica. Troilo ha riunito intorno allo stesso tavolo Chiara Rapaccini (compagna di Mario Monicelli), Francesco Lizzani (figlio del regista Carlo Lizzani), Mina Welby (moglie di Piergiorgio Welby) e Mario Riccio (il medico anestesista che nel 2006 aiutò Welby a morire). L’incontro cui hanno preso parte, ospitato dalla sede romana del Partito Radicale, ha visto anche la partecipazione “virtuale” di Umberto Veronesi che ha espresso il suo pensiero in un videomessaggio nel quale ha ribadito il diritto del malato «a scegliere quando staccarsi dalla vita». Le parole di Veronesi hanno trovato la piena condivisione della Rapaccini che ha aggiunto: «Non solo la vita non è un dovere ma bisognerebbe capire che la morte è parte della vita. Invece noi laici, perché lo sono io come lo era Mario Monicelli, abbiamo paura di questa parola. Non la pronunciamo mai. Ai bambini, infatti, non parliamo mai di morte».

L’intervento di Francesco Lizzani ha chiarito un punto: la lotta per la legalizzazione dell’eutanasia è una battaglia laica e anticlericale, resa difficile dalla radicata presenza della Chiesa nella nostra cultura. Lizzani ha esordito dicendo che «l’Italia è un paese “sui generis”» e che «la spiegazione di questa affermazione è contenuta in tre notizie» che in realtà non sono affatto notizie, almeno non in senso giornalistico, ma fatti che «in un paese normale dovrebbero suscitare clamore». E ha proseguito: «Se l’Italia è in queste condizioni, la colpa è di noi laici».

Mina Welby, nel corso del suo breve discorso, ha ricordato la sofferta scelta di suo marito Piergiorgio, invitando i medici ad autodenunciarsi: «Esiste una zona grigia molto estesa in Italia. Tanti medici, dopo cure palliative, aumentano i dosaggi di morfina perché i dolori dei pazienti sono terribili e aiutano i malati a morire ma poi non lo scrivono sulla cartellina. Dovrebbero invece farlo, autodenunciandosi. Così aiuterebbero il Parlamento a legiferare».

Il diritto di determinare la propria morte è sempre più spesso raccontato dai media come un fatto di civiltà, progresso, conquista. È questa la posizione di Carlo Troilo che, nel suo intervento, ha prima invocato la legalizzazione dell’eutanasia e poi si è scagliato contro «i giuristi cattolici e Luigi D’Agostino in particolare» che sul Corriere della Sera «ha descritto i sostenitori della legalizzazione dell’eutanasia come persone che vogliono togliere di mezzo i vecchi e i bambini nati deformi». D’Agostino è l’autore di un articolo molto esteso e accurato nel corso del quale aveva operato una serie di distinzioni tra politica e diritto, casi generali e casi particolari, ambito etico-morale e legislativo della questione, eutanasia e cessazione dell’accanimento terapeutico.

Valerio Dardanelli

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