A Napoli ci sono in tutto sette candidati a sindaco, tra cui Gaetano Manfredi, candidato comune dell’alleanza Pd-M5s ed ex ministro dell’Università, e Catello Maresca, magistrato appoggiato dal centrodestra. A seguire Antonio Bassolino, già sindaco della città dal 1993 al 2000 e poi presidente della Regione Campania fino al 2010, e Alessandra Clemente, sostenuta da Napoli 2030 e Potere al popolo. In caso di ballottaggio, la sfida – secondo i sondaggi – sarà tra Manfredi e Maresca, con un ampio vantaggio a favore del primo.
I programmi
Per questa tornata elettorale Manfredi ha messo al centro l’offerta turistica del capoluogo campano, il decentramento amministrativo e la lotta alle disuguaglianze sociali. Per quanto riguarda il candidato di centrodestra, i dieci punti chiave dell’offerta politica sono: mare, sicurezza, lavoro, cultura, verde, turismo, efficienza, innovazione, coraggio e impegno. Il programma di Bassolino, invece, si sostanzia nei progetti di riparazione, ricucitura e rilancio della città, dalle strade al bilancio fino alla digitalizzazione del comune e della pubblica amministrazione. Rafforzamento della polizia in città, del trasporto pubblico e dei sistemi di welfare a tutela delle libertà sono le sfide presentate, invece, da Alessandra Clemente.
La strategia
Il passato ruolo da rettore della Federico II e ministro dell’Università ha inciso sulla campagna del candidato Pd-M5s, anche se è stata notata una mancanza di confronto con gli altri candidati. Maresca ha puntato su attacchi mirati a Manfredi e su un’ampia campagna social, tra le più attive in queste amministrative. Con l’allentamento delle misure anti-Covid, Bassolino ha tentato inizialmente la via dei comizi e, successivamente, guardando anche agli elettori di destra.
Il caso: le liste della Lega
A settembre il Tar di Napoli ha bloccato quattro liste a sostegno del candidato di centrodestra, di cui una della Lega, a causa di ritardi nella consegna o mancanza della documentazione necessaria. Maresca ha presentato un ricorso, che però è stato bocciato il 13 settembre, a cui sono seguite accuse al Tar, definendo la decisione un “esproprio della sovranità popolare”. Parole condannate dal Consiglio di Stato.