In Myanmar è in atto una vera e propria carneficina. Sono almeno 138 i manifestanti pacifici uccisi dall’inizio del colpo di Stato secondo quanto denunciato dall’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a seguito dei dati raccolti dalla Commissione per i diritti umani. Tra le vittime sono presenti anche donne e bambini.
A un mese e mezzo dal golpe che ha portato all’arresto del consigliere di Stato Aung San Suu Kyi, continuano le proteste di decine di migliaia di giovani e gli scioperi generali. E non si ferma la sanguinosa repressione delle forze militari birmane. Il regime ha dichiarato la legge marziale nei distretti dell’ex capitale e ha di nuovo bloccato il traffico internet per spegnere il dissenso.
Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, “e sgomento per l’escalation della violenza in Birmania”, ha dichiarato il suo portavoce. L’alto Ufficiale del Palazzo di Vetro ha anche sottolineato che “l’uccisione dei manifestanti, gli arresti arbitrari e la denunciata tortura dei prigionieri violano i diritti umani fondamentali e si oppongono chiaramente alle richieste del Consiglio di sicurezza alla moderazione, al dialogo e al ritorno al percorso democratico del Paese”.
Arrivano condanne anche dagli Stati Uniti. “Le forze di sicurezza birmane hanno letteralmente attaccato il loro popolo, uccidendo decine di persone nel Paese”, ha denunciato la portavoce del dipartimento di Stato Jalina Porter.
Pechino intanto afferma di essere “molto preoccupata” per i suoi cittadini presenti in Myanmar dopo l’attacco a 32 fabbriche cinesi a Yangon durante gli scontri. La Cina fin dall’inizio non ha mai criticato i golpisti. Un atteggiamento che, per gli attivisti pro-democrazia, sembra proiettato a proteggere i propri interessi economici in Myanmar.