La Cina ha bloccato una bozza di dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che condannava il colpo di stato in Birmania. Ieri il Consiglio si sarebbe dovuto riunire per chiedere il ripristino della democrazia nel Paese, il rispetto dei diritti umani e il rilascio di tutti i prigionieri politici, a cominciare da Aung San Suu Kyi, il cui luogo di detenzione è ancora un mistero.
Suu Kyi è stata arrestata lunedì, accusata di aver violato la legge sull’import-export e condannata a 14 giorni di detenzione provvisoria. Lo rende noto tramite Facebook il portavoce del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, Kyi Toe. Secondo quando riporta la Bbc, il Consiglio non è riuscito a trovare un accordo su una dichiarazione congiunta a causa dell’opposizione di Pechino che, come membro permanente dell’organismo, ha diritto di veto. Durante la crisi dei Rohingya nel 2017, la Cina aveva bloccato qualsiasi tentativo del Consiglio di tenere riunioni sulla Birmania o di rilasciare dichiarazioni congiunte.
I ministri degli Esteri del G7 hanno espresso tutta la loro preoccupazione per il colpo di stato, esortando i militari a fare un passo indietro: “Siamo profondamente preoccupati per la detenzione di leader politici e attivisti della società civile, tra cui il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint, e per l’attacco ai media”. Questo è quanto in un comunicato diffuso oggi da Londra. I ministri di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Canada e Giappone chiedono dunque ai militari di porre fine allo stato di emergenza. “Ristabilire il potere del governo democraticamente eletto, liberare tutti coloro che sono stati ingiustamente detenuti e rispettare i diritti umani e lo stato di diritto”, conclude il comunicato.