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Multe da 50 milioni di euro
in Germania contro le bufale
Facebook: "Siamo delusi"

L'obiettivo è frenare i messaggi d'odio

Gli esperti: "Cura peggiore del male"

di Massimiliano Venturini15 Marzo 2017
15 Marzo 2017

Una multa da 50 milioni di euro sarà inflitta ai social media che non rimuovono entro 24 ore dalla segnalazione i contenuti illegali come parole d’odio,  fake news oppure offese punibili su querela. E’ il progetto di legge presentato oggi a Berlino del ministro della Giustizia Heiko Maas , nel tentativo di contrastare i messaggi d’odio diffusi via Internet.

Il ministro socialdemocratico ha giustificato la severa stretta sui contenuti della pagine di Facebook e altri social network con il fatto che «sono troppo pochi i contenuti illegali che vengono cancellati ed è troppo lento il procedimento con cui vengono cancellati».

Le aziende del settore hanno fatto passi in avanti, ha aggiunto Maas, ma non basta: il ministro ha dato loro tempo fino alla fine di marzo per migliorare nel frattempo le misure di contrasto. Il colosso di Zuckerberg si è detto “molto deluso” della legge presentata oggi a Berlino.

L’orientamento del governo tedesco sembra tuttavia andare controcorrente rispetto alla dichiarazione congiunta firmata a Vienna a inizio marzo dai relatori speciali per la libertà di espressione di Nazioni Unite, Ocse, Organizzazione degli Stati americani e Commissione africana per i diritti umani: «Gli intermediari della comunicazione non dovrebbero mai essere considerati responsabili per i contenuti pubblicati dai loro utenti salvo che non intervengano specificamente su tali contenuti o si rifiutino di adempiere ad un ordine adottato all’esito di un giusto processo condotto da un’autorità indipendente e imparziale, e sempre che dispongano della capacità tecnica di adempiervi».

Critico anche Guido Scorza, avvocato ed esperto di tematiche digitali, secondo il quale pur tenendo presente la gravità della minaccia delle fake news,  le «leggi censorie che mirano a limitare la circolazione dei contenuti sul web chiamando i gestori delle grandi piattaforme online a rispondere dei contenuti pubblicati dagli utenti e promuovendo forme di privatizzazione della giustizia, rappresentano una cura peggiore del male».

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