È morto ieri all’età di 101 anni a causa di una malattia polmonare il poeta della Beat Generation Lawrence Ferlinghetti. Nato a New York il 24 marzo 1919, non ha avuto vita facile. Il padre morì poco prima della nascita e la madre fu spedita in manicomio. Lawrence ha vissuto alcuni anni a Manhattan facendo lavoretti e studiando fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Durante la guerra viene arruolato in marina, visitò le rovine di Nagasaki un mese e mezzo dopo lo scoppio della bomba atomica.
Nel 1951 si trasferì a San Francisco fondando due anni dopo la City Lights con il socio Peter Martin. Ammetterà lui stesso: “Arrivai a San Francisco indossando un basco. Semmai più che il primo dei Beat sono stato l’ultimo dei bohémien”.
Ferlinghetti divenne il catalizzatore dei più giovani poeti Beat che usavano la sua libreria come punto di ritrovo. Nel 1956, attraverso la City Light, pubblicò a sue spese uno dei manifesti di quel movimento letterario, l’Urlo di Ginsberg, per poi essere processato per la pubblicazione “volontaria e oscena” di “scritti indecenti“. Fu però prosciolto sulla base del Primo emendamento.
Il “nume” della Beat ha sempre sostenuto la forma poetica come un mezzo di “insurrezione attraverso l’arte“. La sua poesia ha riflettuto le sue posizioni anarchiche. Credeva che l’arte dovesse essere accessibile al popolo, non a solo una manciata di intellettuali.
Ferlinghetti si è sempre chiesto che ruolo avesse il poeta nella società contemporanea arrivando alla conclusione che “lo stato del mondo invoca la poesia a salvarlo”.
Era legato all’Italia per le origini bresciane del padre, emigrato negli Stati Uniti nel 1894. Ha collaborato alle celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità Italiana con due poesie.