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Morto Giulio Andreotti. Con lui scompare mezzo secolo di vita politica del paese

di Carlo Di Foggia06 Maggio 2013
06 Maggio 2013

Il Divo esce di scena. Giulio Andreotti è morto stamattina, a 94 anni, nella sua casa romana. L’uomo politico che più di ogni altro ha incarnato il potere senza soluzione di continuità in oltre quarant’anni di egemonia democristiana si spegne nei primi giorni di vita del governo delle larghe intese, una rivisitazione in salsa moderna degli esecutivi della prima repubblica.

Il grande sopravvissuto della vita politica italiana lascia un bagaglio di memoria politica e storica senza eguali, in onore di quella che fu la sua massima più famosa: il potere logora chi non ce l’ha. Nei numeri una carriera politica dipanata in mezzo secolo di incarichi pubblici: sette volte Presidente del Consiglio (tra cui il governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro (19781979), con l’astensione del Partito Comunista Italiano, e il governo della “non-sfiducia” (19761977), con la prima donna-ministro, Tina Anselmi, al dicastero del Lavoro); otto volte ministro della Difesa; cinque volte ministro degli Esteri; tre volte ministro delle Partecipazioni Statali; due volte ministro delle Finanzeministro del Bilancio e ministro dell’Industria; una volta ministro del Tesoroministro dell’Interno (il più giovane della storia repubblicana, a soli trentaquattro anni), ministro dei beni culturali (ad interim) e ministro delle Politiche Comunitarie. Dal 1945 in poi è sempre stato presente nelle assemblee legislative italiane, l’anno successivo, a 28 anni, era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Nel 1919 sono nati il Ppi di Sturzo, il fascismoe io. Di tutti e tre sono rimasto solo io», disse in un’intervista.

Con Giulio Andreotti scompare anche uno dei protagonisti dei grandi misteri che hanno attraversato la storia del nostro paese. Nella lunghissima carriera politica aveva dovuto affrontare accuse pesantissime come quella di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli e indicato come un referente a tutti gli effetti della mafia. Elemento indicato come «concreta collaborazione» con esponenti di Cosa Nostra, fino alla primavera del 1980, nella sentenza d’appello del processo per concorso esterno in associazione mafiosa a Palermo, poi confermata dalla II sezione penale della Corte di Cassazione. Il reato “ravvisabile” non era però più perseguibile per sopravvenuta prescrizione e quindi si è dichiarato il “non luogo a procedere” nei confronti di Andreotti. Fu il collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta a raccontare la storia del bacio a Totò Riina. Processi da cui era quindi uscito indenne grazie ad assoluzioni e una prescrizione.

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