Proseguono le indagini intorno alla morte di Imane Fadil, la testimone principale delle inchieste sul caso Ruby. I pm stanno ascoltando in Procura il direttore sanitario dell’Humanitas di Rozzano, luogo in cui la donna di 34 anni è stata ricoverata il 29 gennaio. Sono molti i dubbi che aleggiano intorno alla scomparsa della Fadil, morta lo scorso 1° marzo; dubbi ai quali si cerca di dare una spiegazione, dato che al momento l’unica certezza è che gli esiti parziali di un test eseguito in un centro specialistico di Pavia avrebbero confermato tracce di elementi radioattivi sul corpo della donna, in particolare cobalto ionizzato.
Proprio per questo motivo gli investigatori stanno vagliando più ipotesi. Al momento, come si evince dagli esami, la pista più attendibile è quella delle radiazioni, ma sembra difficile stabilirlo con certezza dal sangue della ragazza a causa delle trasfusioni che la donna ha effettuato nei suoi ultimi giorni di vita. Nei prossimi giorni gli specialisti effettueranno delle analisi sui reni di Iman Fadil, cercando di cogliere le cause della sua morte.
Intorno al “caso Fadil” sta lavorando un’equipe di medici legali guidata da Cristina Cattanea, direttrice del Labanof. L’autopsia sul corpo della donna è fissata tra mercoledì e giovedì. La Procura nel frattempo ha disposto che il corpo della vittima rimanga chiuso all’interno dell’obitorio, in modo tale da evitare contaminazioni di qualunque genere.
Fino a questo momento dalle indagini sono emerse poche certezze. Sul corpo di Imane Fadil i medici hanno effettuato una serie di accertamenti, escludendo l’ipotesi della leptospirosi, oltre a quella di tumori ematologici. I test sull’avvelenamento hanno dato esito negativo, nonostante la giovane donna avesse detto a suo fratello e al suo avvocato: “Mi hanno avvelenata”.