Il caso marò continua ad animare la politica italiana. Accuse che vengono da ogni parte e che rimbalzano ovunque. Tutti conosciamo Monti come una persona pacata che difficilmente si sbilancia con le parole. Ci ha abituati ai suoi mezzi termini, alle allusioni, alle frasi dette e non dette, salvo qualche raro caso. Ecco, questo è uno di quei rari casi e Giulio Terzi, ex ministro degli Esteri, è la sua valvola di sfogo.
Lo sfogo di Monti. «Evidentemente l’obiettivo delle dimissioni di Terzi era un obiettivo esterno alla vicenda dei marò, ma fatto per conseguire risultati che vedremo nei prossimi tempi». Le parole di Mario Monti sono schiette. «Questo governo non vede l’ora di essere sollevato da questo incarico». Dopo aver preso un gran respiro, forse per riflettere su cosa dire, ha proseguito: «Un incarico che non è stato sollecitato da noi nel 2011, ma che è stato sollecitato dal mondo dei politici perché la situazione era troppo complicata per potersela cavare e ha chiesto questo governo».
Terzi contro tutti. Immediate le polemiche da ogni fronte, anche dal diretto interessato, Giulio Terzi: «Ho annunciato pubblicamente le mie dimissioni non certo per perseguire chissà quale finalità personale, ma perché trattandosi di una vicenda che mi ha coinvolto a livello istituzionale e personale, ho ritenuto di scegliere il Parlamento, massima sede delle istituzioni democratiche». Le contestazioni dall’altra parte dell’emiciclo sono tutte contro il governo, esemplare quella di Schifani che accusa l’esecutivo di aver «agito in maniera schizofrenica facendo perdere la credibilità all’Italia».
Il Ministro indiano difende terzi. «Dev’essere stata per lui una scelta difficile, per l’effetto delle enormi pressioni esistenti in Italia su questa vicenda, così come ce ne sono in India». Mentre l’inviato speciale della Farnesina per la vicenda dei marò, Staffan de Mistura, lasciava New Delhi per rientrare a Roma, il ministro degli esteri indiano, Salman Khurshid, ha commentato con parole accomodanti le dimissioni del corrispettivo italiano, Giulio Terzi, affermando di essere dispiaciuto e di aver avuto con lui un «rapporto di lavoro molto buono».
Brunetta? La vicenda marò sembra uno sceneggiato televisivo pieno di colpi di scena. Ora si è aperto anche un giallo politico che ha come protagonisti il capogruppo Pdl, Renato Brunetta, e Giulio Terzi. Secondo una fonte, domenica, i due si sarebbero incontrati di nascosto per discutere, di cosa non si sa, ma è bastata l’ipotesi per accendere la spia del dubbio e mettere in correlazione le dimissioni dell’ex ministro con l’offensiva politica del centrodestra. Brunetta ha già smentito il tutto: «Assolutamente no. Io la domenica dormo».
«Mio marito è un militare». L’altro ieri la moglie di Salvatore Girone, uno dei due fucilieri del San Marco, era a Roma per urlare tutta la sua disperazione in Parlamento: «Ridatemi mio marito». Oggi è casa come la moglie dell’altro marò, Massimiliano Latorre. Quello che traspare dalle loro parole non è sconforto, ma rabbia e frustrazione verso un sistema che non riescono a comprendere. «Non ci interessano le questioni politiche, vogliamo solo che tornino a casa Salvatore e Massimiliano e per questo puntiamo alla collaborazione». Chissà se il loro unisono appello verrà ascoltato.
Tedeschi nei guai. Intanto due marinai tedeschi, imbarcati in una nave cargo, sono stati arrestati per aver speronato un peschereccio indiano al largo della costa di Chenpai. Cambiano i protagonisti, ma la storia rimane la stessa. L’incidente ha provocato la morte di un pescatore indiano di 45 anni che è annegato mentre i suoi compagni sono stati salvati da un’altra imbarcazione presente nelle vicinanze. Ora i due marinai sono liberi su cauzione, ma hanno l’obbligo di non lasciare il Paese. Una storia che ricorda molto quella dei fucilieri italiani, non solo per i fatti, ma anche per la sfrontatezza che le autorità indiane hanno usato. Infatti, anche se un’ispezione subacquea della nave non ha riscontrato segni visibili di collisione, i due marinari sono stati arrestati e ora rischiano fino a due anni di reclusione.
Paolo Costanzi