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“Molte le preoccupazioni
e le incertezze
sulla carne coltivata”

Riccardo Fargione, direttore Aletheia

spiega la contrarietà dell'associazione

di Alessandro Raeli22 Ottobre 2023
22 Ottobre 2023

Foto Ansa

A partire dallo scorso anno Coldiretti si è mossa contro la carne coltivata, creando una raccolta firma per promuovere la legge che ne vieta la produzione. A Lumsanews ha parlato Riccardo Fargione, direttore di Aletheia, fondazione promossa da Coldiretti che si occupa delle tematiche relative i rischi per la salute e l’ambiente dei cosiddetti cibi a base cellulare. 

Perché Coldiretti è contraria alla produzione di carne coltivata?

“Sono molteplici le preoccupazioni e le incertezze che spingono a guardare con diffidenza i cibi a base cellulare prodotti in laboratorio. A partire proprio dalle questioni che riguardano la salute dei cittadini sino ad arrivare all’impatto ambientale ed economico. Ma non dimentichiamo anche i riflessi sociali”. 

Perché secondo Coldiretti la carne coltivata fa male all’essere umano?

“Questi prodotti di laboratorio sono realizzati con un mix di ingredienti e di fattori esogeni di crescita di dubbia sicurezza per la salute umana. Non sappiamo quale sarà l’impatto sulla salute nel lungo termine. Sappiamo che vengono utilizzati ormoni per la crescita vietati negli allevamenti europei dal 1996 e le autorizzazioni sino ad oggi concesse prevedono l’utilizzo di siero fetale bovino prelevato da feti di bovini gravidi con serie perplessità sul benessere animale. Ci sono diverse evidenze scientifiche che inducono alla prudenza, compreso il rischio che l’alto tasso di proliferazione cellulare associato al processo possa indurre instabilità genetica delle cellule”.

Coldiretti sostiene che la produzione di carne sintetica è dannosa per l’ambiente. Può spiegarci perché?

“La produzione di carne e cibi a base cellulare richiede elevati quantitativi di energia nella gestione delle temperature e dei processi e, come sappiamo, la produzione di energia genera anidride carbonica (CO2) che è ben diversa dal metano prodotto invece dagli allevamenti, che si dissolve in una dozzina di anni”.

In che misura la produzione di carne coltivata limiterebbe la libertà dei consumatori?

“Oggi viviamo un approccio democratico al cibo con milioni di aziende agricole ed allevamenti che producono prodotti agricoli e cibo per l’intera popolazione mondiale. Confinare la produzione di cibo nelle mani di pochi soggetti che un domani potrebbero gestire il business del cibo a base cellulare genera qualche preoccupazione sulla libertà dei consumatori. Pochi soggetti potranno decidere come sfamare la popolazione mondiale e soprattutto chi sfamare. L’analisi dei dati sugli investimenti messi in campo in questi ultimi anni ci chiarisce proprio queste preoccupazioni”. 

Quali sarebbero gli investitori?

“Gli investitori sono soprattutto multinazionali del comparto biotech, del comparto agroalimentare e del digitale. Per fare alcuni nomi parliamo di Cargill, Tyson Foods, ma anche di Bill Gates o Eric Schmidt, co-fondatore del colosso Google. Limitare la produzione di cibo nelle mani di pochi soggetti conduce verso mercati meno democratici e liberi anche per i consumatori”.

Cosa si potrebbe fare rispetto al problema legato all’impatto degli allevamenti intensivi?

“Oggi l’innovazione può fornire un contributo molto importante. Pensiamo ad esempio alle soluzioni messe in campo per valorizzare i reflui zootecnici per fini energetici. Solo per citare alcuni esempi che riguardano la zootecnia, consideriamo i progressi fatti nella creazione di impianti di biogas e biometano attraverso i quali oggi è possibile trasformare i reflui degli allevamenti in energia. Più in generale, considerando l’intero settore agricolo, non si può non citare il ruolo dell’Agricoltura di precisione e delle nuove Tecniche di evoluzione assistita (Tea). Insomma, gli strumenti messi in campo sono molteplici”.

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