Arcelor Mittal scopre le carte e per restare in Italia e proseguire l’attività produttiva chiede il licenziamento di 4.700 persone nei prossimi tre anni, già 3mila dai prossimi mesi. Durissime quindi le condizioni poste dalla multinazionale franco-indiana, che vorrebbe ridurre del 40 per cento la forza lavoro. A fronte di ciò potrebbe aumentare la produzione da 4.500 tonnellate di acciaio a 6.000, sostituendo il forno Afo2 nel 2023 con uno elettrico, a minore impatto ambientale ma anche occupazionale.
I sindacati considerano però “irricevibile” il piano e annunciano uno sciopero per martedì 10 dicembre. Il governo con il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, oggi in un’intervista al Foglio si dice “deluso” dai “passi indietro” e si fa avanti concretamente l’ipotesi nazionalizzazione: “Non è solo una necessità ma una precisa volontà. La partecipazione dello Stato nell’ex Ilva sarà una garanzia per i cittadini di Taranto, soprattutto per quanto riguarda il risanamento ambientale”.
Patuanelli e il Mise valutano possibili scenari futuri: “Cassa depositi e prestiti può essere una componente decisiva ma non basta. Invitalia è una delle possibilità”. Sulla questione è intervenuto anche il premier Conte: “Il progetto che è stato anticipato in un incontro non va assolutamente bene, mi sembra sia molto simile a quello originario. Lo respingiamo e lavoreremo agli obiettivi che ci siamo prefissati e che il signor Mittal si è impegnato personalmente con me a raggiungere”.
È duro il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini: “Quello presentato al Mise da Arcelor Mittal Italia non è un piano industriale, è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva. Abbiamo un accordo firmato un anno fa che prevede investimenti, otto milioni di tonnellate di acciaio da produrre e non sei milioni come annunciato nelle slide presentate al ministero”, conclude il sindacalista.
“Dopo lo sciopero del 10 dicembre vedremo se il governo deciderà di aprire un tavolo di trattativa sulla crisi congiunturale”, sottolinea invece il segretario generale della Fiom-Cgil, Francesca Re David. “Mittal sapeva benissimo già un anno fa – aggiunge – che c’erano i dazi e altre questioni da affrontare. Se c’é un problema congiunturale allora bisogna affrontarlo con strumenti congiunturali”.
Fonti qualificate dell’azienda hanno riferito intanto all’Ansa, in merito alla causa in corso al Milano contro Arcelor Mittal, che una trattativa sulle basi presentate ieri nel piano non può nemmeno iniziare. Il caposaldo del contratto è l’aspetto occupazionale; il gruppo un anno fa si sarebbe impegnato a garantire, indipendentemente dalla situazione del mercato, 10mila posti di lavoro fino al 2023 con una penale prevista di 150mila euro su ogni lavoratore messo alla porta sotto quella cifra.