HomeCronaca Le mille “scozie” d’Italia. Ecco tutti i movimenti indipendentisti della penisola

Le mille “scozie” d’Italia. Ecco tutti i movimenti indipendentisti della penisola

di Renato Paone18 Settembre 2014
18 Settembre 2014

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Il referendum scozzese ha riacceso gli animi indipendentisti e secessionisti di mezza Europa e dei William Wallace nostrani, tutti in attesa del risultato d’oltremanica, ma già certi di festeggiare la vittoria, a prescindere dall’esito positivo o negativo dello spoglio. Perché ciò che conta veramente è il significato portante di quanto sta accadendo in queste ore in Scozia. Cristiano Corazzari, ex consigliere regionale della Lega Nord e sindaco di Stienta, crede ciecamente «in una ventata d’aria fresca in Europa. È un segnale importante che dà speranza al desiderio d’indipendenza dei popoli europei». Inoltre, è convinzione diffusa, dalla Sardegna al Veneto, dalla Val d’Aosta al l’Alto Adige, dalla Sardegna alla Sicilia, che lo Stato così com’è concepito oggi, cioè da 150 anni a questa parte, sia un retaggio dei secoli passati. Ma un’Italia separata al suo interno non sarebbe tale e quale all’Italia dei comuni dei primi secoli dell’anno Mille?

Tra i più accesi sostenitori della causa scozzese il leghista Mario Borghezio, che si è addirittura cimentato in un appello ai “fratelli” highlanders in gaelico: «Tagh duine, tagh gu an saorsa. Alba saor!», vota sì, vota per la libertà. Scozia libera! Molti hanno anche preso l’aereo per assistere dal vivo alle votazioni, quasi volessero andare a “lezione d’indipendenza” da chi, forse, sta per realizzare il proprio sogno. «Il referendum scozzese ha reso evidente come il potere di decidere debba spettare al popolo – ha affermato Luca Azzano Cantarutti, avvocato e leader degli indipendentisti veneti – è solo in Italia che Renzi ha impugnato la legge della regione Veneto che indice il referendum, pretendendo di negare la libertà di espressione al popolo». Ciò che preme in misura maggiore gli indipendentisti nostrani, e lo ribadisce Corazzari, è la libertà di poter esprimere la sovranità popolare: «Noi non vogliamo imporre l’indipendenza a nessuno, ci mancherebbe, ma se la maggioranza del popolo decide per l’indipendenza, questa volontà va rispettata».

 Al contrario dei separatisti padani, coesi nelle loro aspirazioni, gli indipendentisti sardi sono limitati da separazioni intestine, che non permettono un’attuazione concreta di una strategia politica significativa e coerente, tanto da ritrovarsi “uniti in scozia, ma divisi in Sardegna”: «Il tempo non è ancora maturo per una consultazione simile nell’Isola, ma ci si arriverà», queste le parole di Paolo Zedda dei Rossomori sardi. Inoltre, il discorso separatista sardo si discosta da quello della penisola perché sostengono di avere una storia diversa e un capitale umano e culturale incompatibili con il resto dell’Italia. Anche gli interessi economici non coincidono con quelli peninsulari.«E’ il momento giusto – ha dichiarato il sardo – per parlare del principio di appartenenza di un popolo. Nella nostra trasferta presenteremo un messaggio in tre lingue: italiano, inglese e sardo. In ogni caso gli scozzesi vinceranno: anche se prevarranno i no otterranno comunque strumenti normativi che aumenteranno la loro sovranità». Analoga alla situazione sarda, quella della Sicilia, dove i movimenti indipendentisti sono ancora del tutto frazionati, anni luce lontani da un vero e proprio movimento populista d’avanguardia come quello scozzese.

L’unico modo per dare voce alle aspirazioni delle regioni italiane è unire le forze a sostegno della causa, prescindendo dall’ubicazione geografica. Uniti nella diversità, questa la parola d’ordine di Matteo Salvini: «La Lega non ha mai smesso la battaglia indipendentista  contro i regimi europei e di Roma.  Se si mettono insieme tutte le persone di buona volontà, dal Piemonte al Veneto, ma perché no dalla Sardegna alla Sicilia, abbiamo più possibilità di vincere».

 Renato Paone

 

 

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