«Sono passati 30 anni da quando la magistratura italiana poté dimostrare, una volta per tutte, l’esistenza della mafia». A parlare è il presidente del Senato, Pietro Grasso, oggi a Milano per gli Stati generali della lotta alle mafie, ideati dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Era il 16 dicembre del 1987 quando il presidente della Corte d’assise di Palermo lesse per la prima volta il dispositivo del maxi processo a Cosa nostra. Quel giorno i giudici comminarono diciannove ergastoli, per un totale di 2.665 anni di reclusione. «Mai nella storia si era celebrato un processo con 475 imputati. Ricordo ogni istante di quel giorno e il durissimo lavoro che ci portò a quel risultato che, dopo qualche anno, diventò una sentenza definitiva».
Il presidente ha osservato che per le nuove generazioni simili affermazioni possono sembrare addirittura inverosimili, ricordando però che c’è stato un tempo in cui la mafia era considerata un’invenzione di giornalisti “particolarmente fantasiosi”. «Proprio a loro vorrei rivolgere, anche da qui, un caloroso abbraccio – ha aggiunto Grasso – Siamo con voi perché senza un giornalismo libero, il vero fondamento di una informazione consapevole, la nostra società è più debole». Ha poi ringraziato anche i docenti, per l’impegno che ogni giorno pongono nell’educare ad una cittadinanza consapevole e ai valori della legalità.
Gli Stati Generali arrivano a una settimana dalla morte del boss corleonese Totò Riina. Il presidente del Senato ricorda come sia lui che il suo concittadino, Bernardo Provenzano, siano morti senza aver mai voluto collaborare. Con le loro parole avrebbero consentito di «ricomporre pezzi di verità mancanti sulla stagione delle stragi». Ma Grasso invita a non perdersi d’animo, per rendere concreta la profezia di Giovanni Falcone: “La mafia, come tutte le cose, ha avuto un inizio e avrà una fine”.
Si è poi parlato della nuova criminalità organizzata, che oggi interessa Milano e tutta la Lombardia. Una minaccia insidiosa, che non usa più armi ed esplosivi ma preferisce corrompere con potere e denaro. Una mafia che si infiltra nel tessuto sociale e politico, ormai a livello globale. «La battaglia per la legalità è tutt’altro che terminata non solo a livello nazionale ma mondiale – ha ammonito Grasso -. Ciò ha portato solo in Italia a unificare in una procura nazionale la lotta alla mafia e al terrorismo».