“La Bielorussia è pronta a rimandare i migranti in patria, ma loro non vogliono tornare”. Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko continua a respingere le accuse di aver innescato la crisi migratoria al confine con la Polonia, anche se dice di “essere in grado di combattere in caso di nuove sanzioni da parte dell’Unione europea”. Da giorni 4mila persone, tra cui donne e bambini, sono accampate davanti al confine polacco, dove tentano di penetrare illegalmente aiutate dalle forze di sicurezza bielorusse. Una “guerra ibrida”, secondo gli osservatori internazionali, che punta – per il regime di Minsk – a destabilizzare la Ue.
Malgrado il presidente bielorusso ribadisca di non volere un conflitto al confine e si dica disposto a trasportare i migranti in Germania con i jet della compagnia di bandiera Belavia, i toni tra Minsk e Bruxelles rimangono accesi. Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, minaccia nuove sanzioni, pur escludendo una soluzione di tipo militare. “C’è un quinto pacchetto di misure pronto nei confronti di persone, compagnie aeree, agenzie di viaggio e chiunque sia coinvolto con questa situazione illegale ai confini, che deve cessare ora”, dice Borrell al Consiglio degli Affari esteri a Bruxelles. La Lituania, paese al confine con la Bielorussia, va oltre e chiede la creazione di una “no fly zone” sull’aeroporto di Minsk per evitare che vi sbarchino nuovi migranti. Per Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano, è infatti “cruciale bloccare i voli per far cessare il traffico di esseri umani”.
Intanto, il governo iracheno annuncia che giovedì organizzerà il primo volo di rimpatrio, su base “volontaria”, per i suoi cittadini bloccati al confine tra la Polonia e la Bielorussia. “L’Iraq effettuerà un primo volo per coloro che desiderano tornare volontariamente il 18 novembre”, afferma il portavoce del Ministero degli Esteri, Ahmed al-Sahaf.