“La toga non è un abito di scena”. È il messaggio consegnato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Quirinale, ai nuovi magistrati che ieri attendevano di prendere servizio effettivo.
Un messaggio che si collega idealmente all’esplicito monito del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, che pochi giorni fa dal palco del congresso dell’Unione Camera Penali Italiane aveva lanciato una stoccata, senza nominarlo, al collega Piercamillo Davigo, criticando “la disinvoltura con cui si passa dai talk show o prime pagine dei giornali all’esercizio di funzioni requirenti e giudicanti, fino alla presidenza di collegi anche della Cassazione”.
“Non si tratta di un simbolo ridondante o soltanto frutto di tradizione, ma rappresenta il senso della funzione che vi apprestate a svolgere. È uguale per tutti, anzitutto, perché i magistrati si distinguono fra loro soltanto per funzioni”, ha proseguito Mattarella citando la Costituzione.
L’intervento è proseguito ribadendo alcuni principi, sui quali il presidente non ha esitato a ripetersi. Ha sottolineato che i magistrati devono rispettare alcuni criteri durante lo svolgimento del proprio lavoro. Per esempio, chi amministra la giustizia deve guardarsi dal condizionamento delle proprie idee. Ci vogliono “spirito critico — ha dichiarato il capo dello Stato — e capacità di mettere da parte le personali convinzioni quando queste non trovano fondamento nella conoscenza dei fatti acquisiti e nelle norme dell’ordinamento”.
Il magistrato, pm o giudice che sia, “non deve né perseguire né dare l’impressione di perseguire finalità estranee alla legge, ovvero di elevare a parametro opinioni personali quando fa uso dei poteri conferitigli dallo Stato”.