Ha ufficializzato ieri nella conferenza stampa la sua indisponibilità a ricandidarsi alla presidenza della Regione Lombardia, per motivi personali. Ma la rinuncia di Roberto Maroni, scongiurati eventuali problemi di salute, non suscita particolari entusiasmi in casa Lega. Non solo perché l’ormai governatore uscente aveva la vittoria in tasca, mentre ora si riaccende la competizione con la sinistra per il Pirellone, ma perché il suo passo indietro viene interpretato come una prova d’intesa con l’alleato-nemico Berlusconi per un eventuale prossimo governo di centrodestra.
Ecco dunque l’altolà degli uomini di Salvini alle parole sibilline del governatore, che non si è astenuto dal sottolineare come la sua storia d’amore con la politica, come quelle vere, non sia destinata a concludersi. Se non corre ora non può farlo neanche dopo, è il senso del retropensiero leghista, per cui se c’è una scelta personale dietro alla rinuncia, la politica deve fare un passo indietro. La nuova vita di Maroni potrebbe invece assumere un’altra piega, che lo porterebbe da Milano a Roma.
Il sospetto che si coltiva nella sede del Carroccio, infatti, è che il governatore punti ad un incarico da parlamentare, con vista su Palazzo Chigi. Maroni è senza dubbio un leghista di cerniera, capace di mediare tra la componente berlusconiana e moderata della coalizione e quella sovranista-populista della Lega, ed ha già ricoperto tre volte il ruolo di ministro. La nota incandidabilità del leader di Forza Italia in virtù della legge Severino potrebbe addirittura aprire scenari ad oggi impensabili per Palazzo Chigi, che si scontrerebbero con la candidatura di Salvini.
Maroni, inoltre, ha una causa pendente con la giustizia: è imputato a Milano, con il pm Eugenio Fusco che gli contesta i reati di turbata libertà della scelta del contraente e induzione indebita, che si sarebbero consumati durante il suo soggiorno al Pirellone. In caso di condanna, la legge Severino prevede che un amministratore pubblico decada dopo la sentenza di primo grado, mentre per i parlamentari la stessa legge fissa l’attesa fino al terzo grado di giudizio. Differenza che allontanerebbe il pericolo e lascerebbe Maroni tranquillo per qualche anno, trasformando una rinuncia in un’opportunità da cogliere al volo.