Tanto tuonò che piovve. Dopo giorni di fuoco incrociato e gaffe a ripetizione, isolato e abbandonato anche dai suoi, il sindaco di Roma Ignazio Marino ha gettato la spugna: “Mi dimetto, le condizioni politiche oggi mi appaiono assottigliate se non assenti”, l’annuncio a sera in un videomessaggio.
Una decisione tutt’altro che autonoma, mandata giù obtorto collo, dopo ore di camera di consiglio, asserragliato nel suo studio con l’assessore Alfonso Sabella – suo uomo di fiducia – e il vicesindaco Marco Causi. Un pomeriggio drammatico, dagli stati d’animo contrastanti: rabbia iniziale, depressione negli ultimi concitati momenti: “Perché mi fate questo? Io sto cambiando Roma”, avrebbe detto incredulo ai due ambasciatori del diktat orfiniano.
“Vi tiro giù tutti”. E dire che il buongiorno, Marino, l’aveva visto già di primo mattino. Al telefono, il presidente del Pd Matteo Orfini era stato chiaro: “Abbiamo deciso. Ti devi dimettere”. Lui non l’aveva presa per niente bene, minacciando di sputare il rospo: “Cacciarmi? Se lo fate farò tutti i nomi: chi del Pd mi ha proposto Mirko Coratti e Luca Odevaine come vicesindaco e come comandante dei vigili. Vi tiro giù tutti”, avrebbe detto, con chiaro riferimento alla vicenda “Mafia Capitale”. Pian piano era maturata in lui la voglia di resistere. Arrivato in Campidoglio, la riunione della Giunta e dei consiglieri comunali, la richiesta di appoggio: tutto vano. Le dimissioni del vicesindaco Marco Causi e degli assessori Stefano Esposito e Luigina Di Liegro sono il segnale che anche la sua squadra lo ha abbandonato. Troppe gaffe e troppo incresciosa la vicenda degli scontrini per andare avanti. Una caduta lenta e costante, accelerata – probabilmente – dalla reazione piccata di papa Francesco: “Io non ho invitato il sindaco Marino, chiaro? E neppure gli organizzatori, ai quali l’ho chiesto, lo hanno invitato”. Parole dure, di rimprovero, nei confronti del sindaco che, con tanto di fascia tricolore, gli si era presentato accanto a Filadelfia.
“Posso ripensarci”. La corsa è finita, Marino si rassegna. Si chiude nello studio a scrivere il testo del videomessaggio ai romani. Davanti alle telecamere rivendica i suoi risultati, il ritorno della legalità tra le stanze del Campidoglio, e ha un ultimo guizzo negli occhi: “Presento le mie dimissioni. Sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria se è ancora possibile ricostruire queste condizioni politiche”.
Cosa succede adesso. Dopo i venti giorni utili per un ripensamento, illusione passeggera di cui probabilmente anche Marino si sarà reso conto, scatta la procedura di scioglimento del Consiglio comunale, con la sospensione di tutte le cariche istituzionali. Viene nominato un commissario, che traghetta la capitale alle elezioni in Primavera. Salgono in queste ore le quotazioni dell’assessore alla legalità Alfonso Sabella, magistrato e forse l’uomo più affezionato al sindaco dimissionario. Non è da escludere inoltre, che sia lo stesso prefetto di Roma Franco Gabrielli ad essere nominato commissario. Ipotesi ottimale – soprattutto in vista del Giubileo di dicembre, di cui Gabrielli è coordinatore – che non ha però precedenti in Italia.
I possibili candidati. A maggio, probabilmente, i romani potranno scegliere il nuovo sindaco. Il partito democratico dovrà puntare, per forza di cose, su un uomo forte e dal prestigio indiscusso, nell’arduo tentativo di risalire la china. È per questo che Matteo Renzi non vuol sentir parlare di primarie, troppo rischiose e imprevedibili. Lui un uomo fidato ce l’ha, uno che in più occasioni gli ha tolto le castagne dal fuoco: Raffaele Cantone, che lo stesso premier ha voluto come procuratore nazionale anticorruzione. Tra gli altri nomi in ballo Alfonso Sabella, Roberto Giachetti e il presidente del CONI Giovanni Malagò. Matteo Salvini, dagli studi di Agorà, lancia Giorgia Meloni di Fratelli D’Italia: “Mi piacerebbe se si candidasse”. Nome sul quale potrebbe convergere anche Silvio Berlusconi, tentato da Alfio Marchini, già candidato come indipendente alle scorse elezioni. Più incerto il cavallo dei Cinque Stelle: il regolamento vieterebbe agli esponenti più in vista (vedi Alessandro Di Battista e Federica Lombardi) di lasciare la carica parlamentare per assumere un altro incarico. Le primarie in rete sono da sempre la strada maestra del Movimento, ma pochi sarebbero disposti a votare uno sconosciuto. A stuzzicare la fantasia dei pentastellati, allora, ci pensa Virginia Raggi, portavoce all’assemblea capitolina: donna e volto giovane del movimento, sarebbe perfetta per rimarcare la distanza dalle logiche degli altri partiti.
Giubileo e Olimpiadi. Per le elezioni, però, c’è ancora tempo. In vista dell’Anno Santo, al via tra due mesi, sarà fondamentale il ruolo del commissario. I lavori programmati in città devono andare avanti senza rallentamenti e anche il prefetto Gabrielli, in veste di coordinatore, userà tutti i poteri speciali a sua disposizione. Una corsa contro il tempo, nonostante le rassicurazioni del responsabile della Legalità della giunta Marino, Alfonso Sabella, che garantisce che “quasi tutte le gare per le opere pubbliche hanno avuto già l’ok dell’Anac, compresi i lavori per il lato sinistro del lungotevere” e sottolinea come “il meccanismo disegnato per le gare sta funzionando in maniera perfetta”. A risentirne, invece, potrebbe essere la candidatura per le Olimpiadi del 2024. Lo scorso 11 settembre, il presidente del Comitato Roma 2024 Luca di Montezemolo, quello del Coni Giovanni Malagò e proprio il sindaco Ignazio Marino avevano firmato la lettera che ufficializzava l’impegno. A distanza di un mese, Marino ne ha firmata un’altra. Stavolta, però, gli sarà tremata la mano.
Nino Fazio