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HomeSpettacoli Mare Fuori, il regista Ludovico Di Martino: “Voglio raccontare un carcere reale”

“Realismo e introspezione
così ho cambiato
la narrazione di Mare Fuori”

Ludovico Di Martino, regista della serie

“Il decreto Caivano danneggia i giovani”

di Sofia Landi25 Marzo 2025
25 Marzo 2025
mare fuori

Il regista Ludovico Di Martino

Dietro le sbarre, sotto al cielo, c’è il mare fuori. È la sigla della serie Rai che fa impazzire milioni di telespettatori. In passato criticata per la mancanza di realismo, Mare Fuori ha mostrato un volto nuovo con l’arrivo di Ludovico Di Martino dietro alla macchina da presa. Tra scene più crude e introspezione, il nuovo regista della fiction racconta a Lumsanews la sua ricerca della verità. 

Come ci si sente ad essere il nuovo sguardo del successo del momento?

“La serie sta piacendo molto e sono contento. È ovvio che il mio lavoro cerca consenso e avere un grande pubblico è bellissimo, ma per me la cosa più importante è stata creare una narrazione più umana, realistica, cruda. Questo è fondamentale per me, non il successo”.

L’uscita dei primi sei episodi della quinta stagione ha mandato in crash la piattaforma streaming Rai Play. Si aspettava una tale risposta da parte del pubblico? Considerando che alcuni tra i personaggi storici della fiction hanno abbandonato la serie. Faccio riferimento ad esempio a Massimiliano Caiazzo e Matteo Paolillo. 

“È stato abbastanza inaspettato. Ci speravamo, ma sapevamo che non sarebbe stato facile. Un pubblico affezionato a personaggi che non ci sono più è un pubblico che rischia di essere deluso. Sentire ancora tutto questo calore da parte dei fan è stata una piacevole sorpresa”. 

Il pubblico di Mare Fuori è caratterizzato in larga parte dai più giovani. Ha sentito la responsabilità di dover creare un racconto con il quale entrano in contatto anche le menti dei ragazzi?

“Io mi sento giovane. Quindi parliamo di un pubblico con cui per me è facile empatizzare e di cui mi sento parte. Di conseguenza non ho dovuto stravolgere il mio linguaggio”.

Entrando nel progetto ha raccolto l’eredità lasciata dai precedenti registi. In particolar modo quella di Ivan Silvestrini. Cosa ne pensa delle critiche mosse alle ultime stagioni considerate poco attinenti alla realtà? 

“La storia delle precedenti stagioni richiedeva un tono diverso, adatto a un racconto incentrato sull’amore, sulle relazioni, sull’amicizia. Questa quinta stagione invece parla di personaggi alle prese con loro stessi, che stanno crescendo. Fanno un percorso molto più individuale. E l’individualità porta all’introspezione. A un tono più cupo, più serio”

In questa nuova stagione ha voluto riportare al centro del racconto una visione il più realistica possibile della cella. Prima di posizionarsi dietro la macchina da presa c’è stato uno studio delle condizioni in cui versano nel concreto i carceri minorili?

“C’è stata più che altro una presa di coscienza. Ho fatto visita all’istituto di Nisida, ma non si è trattato di uno studio di mesi. Quello lo fanno già benissimo le associazioni e gli esperti. Io ho provato a portare uno sguardo più realistico. Nonostante Mare Fuori sia una fiction, ho voluto dare voce alla realtà dei giovani detenuti”. 

Aldilà dell’incredibile successo della fiction da un punto di vista televisivo, pensa che in questo modo Mare Fuori possa diventare anche uno strumento sociale? 

“Tutte le stagioni della serie possono far riflettere. Soprattutto sull’importanza di portare avanti percorsi di rieducazione durante il periodo di detenzione. Mare Fuori è una serie che parla da sempre di seconde possibilità. Quello che mi auguro è che la mia faccia ancora più luce su questa necessità”. 

C’è secondo lei un personaggio che incarna il senso della serie? Quello che è riuscito a vedere il “mare fuori” le sbarre?

“Sicuramente ‘Pino il pazzo’. Nella prima stagione era un assassino violento, arrabbiato, senza amici e figlio di nessuno. Dopo cinque stagioni è un ragazzo che fa la messa alla prova e ha un lavoro in un canile. Si è guadagnato la famosa seconda possibilità che oggi nella nostra realtà rischia di essere negata”. 

Considerando che il decreto Caivano ha reso la ‘messa alla prova’ impossibile per alcuni reati. 

“Esatto. Oggi ciò che raccontiamo del personaggio interpretato da Artem Tkachuk (l’attore che interpreta Pino, ndr) è irreale. Questo ci fa riflettere molto. Lui rappresenta il minore che grazie ad un percorso educativo passa dall’essere irrecuperabile, a essere un giovane con la testa sulle spalle. Il decreto toglie questa possibilità”.

Il ricordo più divertente e quello più emozionante sul set. 

“I momenti più simpatici sono stati quelli fuori dal set. Gli attori sono tutti molti giovani e Napoli è una città piena di vita. L’unione di tutti questi elementi ha reso tutta l’esperienza divertente. Invece l’aspetto più emozionante è stato vedere quanto questi ragazzi portino avanti il loro percorso di crescita anche attraverso la recitazione. Osservare quanto la loro personalità sconfina nei personaggi che interpretano e viceversa. Tutte le scene che abbiamo girato in cella, anche facendo improvvisazione…è stato davvero toccante”. 

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