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Mafia Capitale/1 Le carte dell’inchiesta, mazzette anche per il centro di accoglienza di Mineo

di Anna Bigano05 Giugno 2015
05 Giugno 2015

buzzi-mafia-capitale“La mucca tu la devi mungere, però je devi dà da mangià”. Nulla da dire, la metafora usata al telefono dal re delle cooperative Salvatore Buzzi era efficace per spiegare agli interlocutori il meccanismo di funzionamento di Mafia Capitale: tangenti a pioggia a politici e funzionari per assicurarsi gli appalti del Comune di Roma. Quarantaquattro arresti – con accuse pesanti come associazione a delinquere di stampo mafioso, corruzione e turbativa d’asta – e 21 indagati a piede libero, anche stavolta bipartisan. Immigrati, sanità, rifiuti: “L’emergenza era usata come strumento di corruzione”, scrive il gip Flavia Costantini nell’ordinanza di oltre quattrocento pagine che ieri ha dato il via al secondo atto di un’inchiesta giudiziaria di cui non si vede la fine e che ora fa davvero tremare Pd e Campidoglio. “Chi ruba vada in galera e paghi tutto”, ha commentato il premier Matteo Renzi, ma per partito e governo si prospettano giorni difficili.

Arresti a destra e a sinistra. Mentre stanno per iniziare i primi interrogatori di garanzia (oggi toccherà agli arrestati finiti a regina Coeli, domani a quelli di Rebibbia), il partito democratico fa i conti con il numero dei suoi esponenti finiti in manette: c’è prima di tutto Mirko Coratti, ex presidente del Consiglio comunale di Roma (“Me lo so’ comprato, gli diamo mille euro al mese”, dice Buzzi all’ex terrorista nero Massimo Carminati). E poi l’ex assessore alla Casa della giunta Marino, Daniele Ozzimo, l’ex assessore alle Politiche sociali Angelo Scozzavafa, l’ex presidente del X Municipio (Ostia), Andrea Tassone, l’ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti Maurizio Venafro. Fra i personaggi chiave del sistema mafioso ideato da Buzzi e Carminati c’è però, secondo gli inquirenti, anche Luca Gramazio, ex capogruppo Pdl al Consiglio di Roma Capitale, poi di Forza Italia al Consiglio regionale del Lazio. Sono stati arrestati poi i consiglieri comunali Giordano Tredicine e Massimo Caprari, oltre a Francesco Ferrara, dirigente della cooperativa ‘La Cascina’ che gestiva il centro di accoglienza catanese di Mineo.

Affari con l’immigrazione. Proprio quello dei migranti era un business fra i più redditizi (“Con gli immigrati si guadagna più che con la droga”, dice sempre Buzzi nelle conversazioni intercettate). Esisteva addirittura un tariffario semi ufficiale, da cinquanta centesimi a due euro per ogni ospite dei centri di accoglienza, da versare a chi garantiva l’appalto ai manager delle coop. L’uomo di raccordo, in questo caso, era l’ex vice-capo di gabinetto di Walter Veltroni Luca Odevaine, in qualità di membro del Tavolo di coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti al ministero dell’Interno. Beneficiaria dei suoi favori era soprattutto la coop ‘La Cascina’, vicina a Comunione e Liberazione, i cui dirigenti, ora agli arresti domiciliari, versavano a Odevaine uno “stipendio” mensile che arrivava fino a 20mila euro. E fra gli indagati per turbativa d’asta sull’appalto per la gestione del Cara c’è anche un esponente del governo, il sottosegretario all’Agricoltura di Ncd Giuseppe Castiglione.

I politici al soldo di Mafia Capitale. Pagamenti profumati arrivavano, secondo il gip, anche nelle tasche di Luca Gramazio, 34 anni, giovane promessa della destra romana. Da Salvatore Buzzi avrebbe ricevuto 98mila euro in contanti, in tre tranches, più 15mila per il suo comitato elettorale, l’assunzione di 10 persone per il suo staff e la promessa di pagamento di un debito per spese di tipografia. In cambio, Gramazio doveva svolgere “un ruolo di collegamento tra l’organizzazione da un lato e la politica e le istituzioni dall’altro, ponendo al servizio della stessa il suo ‘munus publicum’ e il suo ruolo politico”, come scrive il giudice. Tradotto, significava influenzare le decisioni dei Consigli di Comune e Regione sull’uso dei fondi pubblici, da quelli per la mobilità sostenibile a quelli per le aree verdi. Discorso analogo per il coetaneo Giordano Tredicine, rampollo della famiglia che a Roma centro ha in mano il business dei camion bar, un fatturato da 25 milioni di euro all’anno. Uno bravo, affidabile, stando a Buzzi e soci (“Glielo dico sempre ‘a Giordà, se non te arrestano diventerai primo Ministro’”), che per favorire gli affari dell’associazione mafiosa riceveva denaro e “altre utilità di contenuto patrimoniale”.

Anna Bigano

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