Tredici persone molte delle quali vicine a Matteo Messina Denaro, numero uno di Cosa Nostra attualmente latitante, sono state fermate nel corso di un blitz della polizia coordinato dai magistrati della Dda di Palermo.
Venti persone, inoltre, sono state inserite nel registro degli indagati con le accuse, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento e corruzione elettorale. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Proprio con quest’ultima accusa e con quella di estorsione, gli inquirenti hanno notificato un avviso di garanzia ad Antonino Accardo, sindaco di Calatafimi Segesta, in provincia di Trapani. Dalle intercettazioni, infatti, è emerso che avrebbe pagato 50 euro a voto per farsi eleggere lo scorso anno.
Tra i fermati, la figura chiave è quella di Nicolò Pidone, già condannato per associazione mafiosa. Il clan controllava il territorio e interveniva con atti intimidatori nei confronti di chi collaborava con la giustizia.
Sono stati arrestati, inoltre, alcuni imprenditori e Salvatore Barone, ex direttore dell’azienda per i trasporti Atm di Trapani, accusato di associazione mafiosa per essersi messo al servizio di Pidone. Barone avrebbe, inoltre, procurato voti ad Antonino Accardo nelle ultime elezioni a sindaco di Calatafimi Segesta.
Dall’inchiesta è emerso che il clan di Pidone avesse disponibilità di armi. Sono in corso, a tal proposito, una serie di perquisizioni nelle campagne del trapanese per la ricerca delle stesse.