«Il fatto non costituisce reato». E’ questa la formula con la quale il Tribunale di Palermo ha assolto l’ex generale dei carabinieri Mario Mori. Era accusato di non avere catturato, a ottobre del ’95 il boss Bernardo Provenzano consentendogli, così, di rimanere latitante. Assolto anche il colonnello Mauro Obinu. Entrambi erano accusati di favoreggiamento aggravato dall’agevolazione a Cosa nostra.
Le reazioni dopo la sentenza. Alla lettura della sentenza, Mori commosso ha dichiarato: «C’è un giudice a Palermo», evitando però, ogni altro commento.
L’ex generale era già stato assolto il 20 febbrario 2006 nell’altro processo a suo carico di Mori, e del capitano “Ultimo”, per la mancata perquisizione del covo del boss Totò Riina. Allora l’alto ufficiale dei Carabinieri fu assolto in primo grado, in appello e anche in Cassazione.
«Siamo amareggiati. Adesso si tratta di capire i punti di vista di chi, come il Tribunale, ha analizzato le carte. In tutti i processi si può vincere e si può perdere ma sono importanti le motivazioni. Bisogna vedere il ragionamento che hanno fatto i giudici per ritenere non credibili Riccio e Ciancimino, lo spiegheranno nelle motivazioni». Questo è il commento alla sentenza da parte del procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi. La pubblica accusa insieme al pm Nino Di Matteo, aveva chiesto 9 anni per Mori e 6 anni e mezzo per il coimputato, Obinu, oltre all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per entrambi.
Le accuse. L’indagine contro l’ex generale, sul mancato arresto del capomafia Provenzano, era stata aperta dopo le accuse lanciate dall’ufficiale dei carabinieri, Michele Riccio, il quale sosteneva di aver avvertito lo stesso Mori e Obinu di un summit mafioso con il boss dei corleonesi, ma gli sarebbe stato risposto che mancavano i mezzi tecnici per intervenire e che avrebbe provveduto il Ros. I carabinieri si limitarono a scattare solo qualche foto.
Ad assistere alla lettura del dispositivo, pronunciato dopo circa sette ore e mezza di camera di consiglio, c’erano anche una decina di esponenti del movimento “Agende rosse” alcuni dei quali al momento dopo la sentenza hanno gridato: «vergogna». Più tardi alcuni di loro hanno commentato: «Siamo indignati. Questo processo è la dimostrazione che lo Stato non processa se stesso. Conoscendo le carte, speravamo in risultato diverso ma sapendo i sistemi di potere che ci sono dietro ce lo potevamo aspettare. Noi continueremo a lottare per la verità».
Un aspetto sottolineato da Ingroia. Secondo l’ex pm di Palermo Antonio Ingroia, presidente di Azione Civile, in riferimento alla sentenza del Tribunale di Palermo, «Colpisce il fatto che anche sul mancato arresto di Provenzano sia stata utilizzata la stessa formula del processo sulla mancata perquisizione del covo di Riina, quando i giudici dissero che il fatto non costituiva reato. Cioè che il favoreggiamento ci fu ma non era voluto. Sarei sbalordito che un investigatore di razza come Mori avesse commesso “errori simili” davanti a capimafia come Riina e Provenzano. Di imperdonabili sbagli a propria insaputa ne abbiamo visti fin troppi, anche in questi giorni».
Alessandro Filippelli