«La République en Marche», il movimento del presidente francese Emmanuel Macron, non ha ancora una collocazione politica in Europa. In apparenza un paradosso per un europeista convinto come lui. In realtà il giovane leader ha un progetto molto chiaro in testa: esportare il suo movimento nel resto dell’Unione, creando un nuovo gruppo autonomo in vista delle elezioni europee del 2019.
Il trentanovenne inquilino dell’Eliseo – dopo aver rivoluzionato la politica francese – ha intenzione di scombinare le carte anche a Bruxelles. Per questo finora Macron non ha accettato le avances dei gruppi già esistenti nel Parlamento europeo. Guy Verhofstadt, presidente del gruppo liberal-democratico ed ex premier belga, lo ha corteggiato a lungo, ma il leader di «En Marche» si è sempre negato. Eppure l’area liberale dovrebbe essere la casa naturale di Macron in Europa. L’obiettivo del presidente francese è di non confondersi politicamente con nessuno, tanto meno con i popolari di Angela Merkel o i socialdemocratici di Matteo Renzi e Martin Schulz. Semmai dovranno essere gli altri ad allearsi con Macron, sempre più intenzionato a fondare una propria forza politica europea.
Ma esportare «En Marche» nel resto del continente non sarà un’operazione facile. Per costruire un gruppo autonomo all’interno dell’Europarlamento servono almeno venticinque deputati eletti in sei Paesi diversi. La speranza del presidente francese è che, in vista delle elezioni del 2019, deputati o partiti europeisti di altri Stati possano decidere di allearsi con gli eletti di «En Marche». L’offerta potrebbe interessare forze tra loro eterogenee: dai democratici italiani ai popolari tedeschi, passando per esponenti di Ciudadanos o persino di Podemos in Spagna.
I consiglieri diplomatici francesi tendono però a frenare il progetto del loro presidente: creare un nuovo gruppo potrebbe infatti avere serie ripercussioni nei rapporti con gli altri leader e capi di Governo dell’Unione Europea: Renzi, Merkel, Schulz o Rajoy potrebbero considerare l’espansionismo politico di Macron come un’interferenza indebita e una sfida poco gradita.