Si dice che l’uomo sia un mammifero evoluto e, in quanto tale, miri al suo benessere e alla sua sopravvivenza. Da uno studio condotto dalla rivista americana “Science”, è emerso che l’uomo occupa tra il 50 e il 70% delle terre emerse, limitando i mammiferi di qualsiasi specie e minando l’ecosistema.
Secondo i cento ricercatori che si sono occupati dello studio, gli animali che vivono in habitat modificati dall’uomo si muovono dalle due alle tre volte in meno rispetto ai loro simili che si trovano in aree contaminate. Ad esempio, nel suo habitat naturale, un leone si muove in un’area grande 1.400 chilometri quadrati per trovare cibo, compagni e allontanare gli intrusi. Restringendo questo spazio, cambiano i comportamenti. “Se gli habitat diventano compromessi, cibo e spazio vitale possono scarseggiare“, si spiega nello studio.
Ancora, il ruolo dei pipistrelli è fondamentale per l’impollinazione delle piante, che poi si concretizza in un servizio agricolo che ha un valore annuo stimato tra i 3,5 e i 50 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti. “Ma se gli animali non possono ampliare il loro raggio di movimento – dice lo studio – semplicemente non riescono più a vivere in quelle zone”.
Dopo la notizia della clonazione del cucciolo di macachi in Cina, gli scienziati di tutto il mondo pensano che sia un primo passo per spianare la strada alle clonazioni di esseri umani, ma occorre dare uno sguardo su quanto possa essere devastante l’impatto sul nostro ecosistema. “Alcune specie, come i topi, possono arrangiarsi con meno spazio, ma mammiferi come leoni, tigri ed elefanti non possono vivere in aree con molti esseri umani”, si legge nello studio di “Science”.