Si è spento ieri a Roma Pietro Ingrao, uno dei padri fondatori del Partito Comunista italiano. È morto nel sonno, lo scorso marzo aveva compiuto 100 anni ma non era malato. Al capezzale sono accorsi il figlio Guido (nome di Ingrao da partigiano) e decine di vecchi amici e compagni di partito. A loro sono andati i messaggi di cordoglio delle istituzioni, che hanno salutato uno dei protagonisti di 80 anni di storia italiana. Per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella “la passione di Pietro resterà un patrimonio del Paese e la sua libertà interiore è un esempio per le nuove generazioni.” Dello stesso tenore le parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ricorda uno dei “testimoni più scomodi e lucidi del ‘900.” Ingrao condusse molte battaglie all’interno del Partito, spesso esprimendo dissenso verso il comunismo sovietico per avere più democrazia (ma, da direttore dell’ Unità, si disse favorevole all’intervento dei carri armati russi a Budapest, per reprimere la rivolta ungherese del ’56). Nel congresso del 1966, l’XI, Ingrao e i suoi subirono una cocente sconfitta (un gruppo, con Rossana Rossanda, Lucio Magri, Luciana Castellina, Luigi Pintor successivamente fondò “il manifesto e venne radiato dal Pci). Passò alla storia la frase con cui, alla conclusione dei lavori, Ingrao salutò i vincitori: «Cari compagni, mentirei se vi dicessi che mi avete convinto”. Da quel congresso emerse il gruppo (Longo, Amendola, Pajetta, Alicata e Napolitano) che avrebbe eletto qualche anno dopo il nuovo segretario, Enrico Berlinguer.
Nel 1976 Ingrao fu il primo comunista ad essere eletto presidente della Camera, carica che ricoprì per i successivi tre anni. Fu ancora lui, sullo scorcio degli anni 70, ad aprire un dialogo con le socialdemocrazie europee o, nel corso degli anni ’80, a difendere il monocameralismo. Caduto il Muro di Berlino, Ingrao si allontanò sempre più dalla scena politica riconoscendo, tra i primi, il fallimento di un’ideologia: «C’è poco da fare, siamo stati sconfitti. È inutile nascondersi la realtà, per quando dura e difficile possa essere». Appassionato di cinema e poesia, riassunse così la parabola novecentesca del Comunismo: “Pensammo una torre / scavammo nella polvere.”