Sugli equilibri internazionali legati alla Bielorussia di Lukashenko, Lumsanews ha intervistato Orietta Moscatelli, analista di Limes ed esperta di Russia e spazio post-sovietico.
Pensa ci siano reali possibilità che Lukashenko venga spodestato dalle proteste?
“Io penso che Lukashenko potrebbe essere spodestato dalle proteste se la Russia gli voltasse la schiena subito, in modo radicale. Cosa che lascerebbe l’apparato securitario bielorusso a decidere, senza grandi alternative, se continuare o meno la collaborazione con Mosca. Ma non credo sarà così perché alla Russia fa comodo un Lukashenko debole e manipolabile soprattutto in questa fase cruciale. Non ha interesse a lasciarlo spodestare, anche se sappiamo che Vladimir Putin non ama Lukashenko. Il Cremlino vedrebbe di buon occhio un cambio pilotato di leadership a Minsk, a garanzia della permanenza al potere di un leader favorevole alla Russia.”
Quindi Lukashenko è una pedina del Cremlino?
“Lukashenko, in questo momento, è costretto a rappresentare gli interessi russi se vuole restare ancora alla presidenza e se vuole essere il regista del processo di riforma costituzionale che lui stesso ha prospettato in modo piuttosto vago. Durante la recente assemblea popolare bielorussa, Lukashenko ha annunciato una riforma costituzionale che deve essere completata entro l’anno corrente e poi messa a referendum l’anno prossimo. I tempi sono lunghi perché il presidente vuole arrivare a una redistribuzione dei poteri che di fatto garantisca a lui, pur non essendo più presidente, di rimanere il padre padrone del paese.”
Qual è l’interesse della Russia di Putin nella rivoluzione bianco-rossa?
“Io non credo che la Russia voglia annettere in modo formale la Bielorussia, non le converrebbe da nessun punto di vista. Vorrebbe un’annessione parziale della dimensione militare di questo paese, che comunque rimane basilare per la Russia in quanto rappresenta l’ultimo vero baluardo della sua profondità strategica difensiva rispetto all’occidente europeo (e quindi sulla direttrice Mosca-Berlino). Ci può sembrare una teoria datata quella della necessità che il Cremlino difenda la piana bielorussa per non essere invasa, ma a livello strategico si tratta di un concetto ancora molto attuale. Il Cremlino punta a fare della Bielorussia un’estensione dell’apparato difensivo russo sul fianco occidentale in modo che la Nato se ne stia alla larga e che la Russia, de facto, possa continuare a considerare la Bielorussia il suo confine occidentale in termini securitari.”
È “solo” un problema strategico?
“Ci sono naturalmente gli interessi a livello economico. Interessi a doppio senso perché per sostenere gli interessi economici russi in Bielorussia la Russia deve finanziare la Bielorussia. Adesso si parla di un nuovo prestito che Lukashenko intende chiedere, equivalente a tre miliardi di dollari. Se la Russia concederà questa cifra, o anche solo una grossa porzione di essa, vorrà in cambio certamente delle cose concrete a cominciare proprio dal rafforzamento del dispositivo militare russo in Bielorussia. Io credo che Putin pensi alla Bielorussia come a un’estensione del distretto militare occidentale, cosa che poi viene confermata anche dalle esercitazioni annuali che vedono la Bielorussia come un campo di manovre importanti.”
Ci sono differenze con quanto sta avvenendo in Russia con Navalny?
“Va sottolineato che Tikhanouvskaya, in autoesilio in Lituania, è un simbolo delle proteste più che una leader. E’ veramente la personificazione della vittima del regime di Lukashenko e delle frodi elettorali. Quando guardiamo a quello che sta accadendo in Bielorussia dobbiamo sempre tener conto che le proteste bielorusse sono un movimento di massa senza dei veri leader, quantomeno al momento. Cosa che distingue radicalmente queste proteste da quelle russe dove invece c’è un leader, Alexei Navalny, senza un vero movimento di massa da poter coordinare.”
Lukashenko, parlando di vera e propria “guerra lampo”, ha dichiarato che vari fattori esterni abbiano influenzato il movimento di protesta. Ci sono state ingerenze straniere determinanti?
“I fattori esterni ovviamente ci sono. L’Unione europea come blocco fa il tifo per l’opposizione bielorussa. Chiede che vengano convocate nuove elezioni, non riconosce più Lukashenko come capo dello Stato e ha avviato un processo, seppur piuttosto teorico e non con grandi effetti concreti, di varo di sanzioni nei confronti del regime di Lukashenko. Bisogna però fare dei grossi distinguo: c’è il cosiddetto fronte Baltico, ovvero le repubbliche baltiche ed ex sovietiche più la Polonia, molto attivi rispetto alle dinamiche interne della Bielorussia. In Polonia sono basati sia i giornalisti sia gli attivisti delle ONG che hanno avuto un ruolo molto importante nel coordinamento delle proteste in Bielorussia dell’ultimo mese. Oltre al coordinamento hanno avuto una funzione importante, forse unica, di informazione sulla situazione in Bielorussia. Se noi sappiamo abbastanza delle proteste e delle relative repressioni da parte del regime bielorusso è perché questi paesi sono molto attivi nel sostenere l’opposizione e il movimento di massa in Bielorussia.”
A parte il fronte Baltico, come si muovono gli altri paesi europei?
“L’Ue è divisa sulla questione bielorussa perché ci sono i paesi per i quali la questione non è così cruciale, come non lo è stata l’Ucraina (e l’Italia chiaramente è tra questi). Ma anche per il paese per cui l’est Europa è un dossier fondamentale, ovvero la Germania, la situazione in Bielorussia va gestita con grande cautela. Angela Merkel, ma anche il suo successore non credo cambierà visione, innanzitutto non vuole una nuova Ucraina alle frontiere orientali dell’Unione europea. Diventerebbe automaticamente un ulteriore fronte di instabilità politica, economica e securitaria da gestire. Poi la Germania è piuttosto convinta che la Russia abbia se non dei diritti, certamente delle ragioni a rivendicare la propria sfera di influenza sulla Bielorussia. Quindi c’è, in qualche modo, una forma di comprensione. Ma soprattutto da parte tedesca c’è una notevole tolleranza rispetto perché se si andasse fino in fondo con le proteste, lo spodestamento di Lukashenko e la crisi di potere nel paese sarebbe un grosso problema per la Germania, intesa come paese guida nell’Unione europea. L’abbiamo sentito alla conferenza di Monaco dove, nei confronti della Russia, Merkel ha sottolineato il fallimento delle sanzioni come metodo di pressione riferendosi all’Ucraina, e ha segnalato che non intende perseguire lo stesso cammino.”
Washington è interessata al dossier bielorusso?
“L’influenza degli Stati Uniti è piuttosto limitata oggi, sia per il disinteresse di Donald Trump, sia perché Joe Biden non pensa che la Bielorussia sia un paese dove promuovere un cambio di regime, come accaduto nel 2014 per l’Ucraina. Proprio l’Ucraina resta il dichiarato punto di interesse della Casa Bianca in questo momento nell’ambito della politica statunitense nell’est europeo. Lukashenko in questo senso può stare abbastanza tranquillo, i suoi problemi al momento sono tutti ad est e li può risolvere solamente con Mosca.”