Sugli interessi cinesi in America Latina e delle prospettive future è intervenuto a Lumsanews Loris Zanatta, storico e professore ordinario del dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna.
Quando sono iniziati i rapporti tra Cina e America Latina e in che contesto?
“Di rapporti di tipo politico – ideologico ne esistono dai tempi della rivoluzione cubana. Il grande impatto della Cina sull’America Latina, però si è prodotto da quando la Cina si è aperta al mondo, già con Deng Xiaoping tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, ma soprattutto nel nuovo millennio. L’ingresso della Repubblica popolare cinese (Rpc) nell’Organizzazione mondiale del commercio e la sua apertura al commercio internazionale ha contribuito a rendere l’America un partner fondamentale.”
In che modo?
“La domanda cinese ha spinto per tanto tempo in alto i prezzi delle materie prime in questa regione, per cui l’America Latina ha goduto di un decennio di crescita economica a ritmi molto sostenuti. Dal 2003 al 2013 ha avuto infatti una crescita straordinaria. Quindi la Cina è diventata per molti di questi Paesi il primo partner commerciale. Dopodiché sarebbe limitativo pensare che la Cina abbia solo interessi economici.”
Di che cosa ha bisogno la Cina dall’America Latina?
“La Cina è un Paese immenso, con una popolazione enorme con un aumento continuo della sua capacità di consumo. La Cina, quindi, ha bisogno di tutto. Dal petrolio al rame, materie prime di tipo minerale, fino alla soia, sviluppata soprattutto in Brasile, Argentina e Paraguay, per cui le immense pianure del Sud America, così poco popolate, sono un’ottima occasione. Ma per avere materie prime occorre fare investimenti, creare grandi infrastrutture strategiche. È tutta una catena in cui la Cina ha enormi vantaggi. L’aspetto particolare è che mentre gli occidentali, per fare crediti, impongono molte condizionalità in termini di corruzione e impatto ambientale, la Cina arriva con operazioni di dumping enormi.”
In che senso?
“Fanno grandi investimenti, portano con sé lavoratori dalla Cina, che lavorano con ritmi pesanti, passando sopra ogni diritto sindacale. Infine, con questi rapporti la Cina si apre dei mercati per esportare i propri prodotti. Questo è un altro problema, perché la Rpc sta replicando un modello in vigore nell’Ottocento. Il rischio è che le economie latino americane, soprattutto quelle meno differenziate, si “riprimarizzino”, ovvero tornino a specializzarsi essenzialmente nell’esportazione di materie prime, con poco valore aggiunto, e nell’importazione di beni lavorati, spesso di qualità dubbia ma a prezzi molto bassi, dalla Cina”.
Il non mettere condizioni, come fa l’Occidente, è una chiave con cui la Cina si insinua in questa regione?
“Il fatto che la Cina non ponga condizionalità la avvantaggia sicuramente, ma non è questo lo strumento principale. In America Latina rimane aperta una profonda tensione tra due tipi di cultura. Da un lato, i valori di tipo liberale, ispirati alla tradizione dell’Illuminismo, e che porta i Paesi latino americani ad allearsi col mondo occidentale. Sul fronte opposto esiste un’altra tradizione, in realtà precedente a quella liberale e che è sempre stata egemonica, e che fa riferimento al periodo coloniale. Si tratta di un costrutto ideologico che ha come principale finalità proprio quella di combattere la tradizione liberale. Il liberalismo è quello che ha corrotto la purezza originaria dell’America Latina. Da qui l’anti americanismo. Questo non perché gli Usa sono forti e potenti, ma perché incarnano la potenza liberale.”
E in che modo viene combattuta la tradizione liberale?
“Sorgono di continuo potenti fenomeni, i cosiddetti populismi latino americano, come il peronismo, il chavismo, il castrismo, il cui obiettivo essenziale è quello di combattere la tradizione liberale. Questi movimenti tendono ad allearsi nel mondo con quelle forze che, di volta in volta, rappresentano l’universalismo anti liberale: Peron con i fascisti, Castro con i comunisti, Chavez con gli integralisti islamici. Nel mondo di oggi, è la Cina che incarna l’universalismo anti liberale, l’alternativa all’occidente. Questa è la sua vera forza.”
Può essere anche un tentativo della Cina di controbilanciare la presenza statunitense nel Pacifico?
“Sì, ma queste sono le logiche tipiche della geopolitica. Tu mi dai fastidio a Taiwan, io ti vengo a dare fastidio nella tua sfera di interesse, ovvero in America Latina. Ma queste cose si possono ribaltare, lo stesso discorso lo possono fare gli Stati Uniti. La geopolitica funziona così. Ognuno cerca di crearsi delle pedine nella sfera dell’avversario. Siamo dinanzi a una specie di sistema bipolare, non istituzionalizzato come nella Guerra Fredda, però qualcosa di simile.”
Venendo agli Stati Uniti, c’è una strategia per tamponare questo fenomeno?
“Gli Stati Uniti sono privi di una strategia per contrastare l’influenza cinese. Gli USA hanno altre priorità, ritengono che le principali minacce ai loro interessi economici siano in altre parti del mondo. Iniziano a comprendere che l’America Latina è un problema gli stessi partner latino americani. Persino quelli che sono più vicini agli Stati Uniti non hanno intenzione di rompere con la Cina. Ormai Pechino ha un ruolo troppo importante per questi Paesi. I Paesi latino americani sono grandi e, per quanto possano fare gli Usa, sono loro che autodeterminano il proprio destino. Molto dipenderà non solo dagli interessi economici in senso stretto, ma dall’andamento della storia latino americana.”
In che senso?
“Se l’America Latina penderà di più verso la tradizione anti liberale, cosa che spianerebbe la strada alla Cina, o se invece la tradizione liberale riuscirà a consolidarsi, cosa meno probabile. A quel punto ci sarebbero degli anticorpi, che considerano la Cina importante e da mantenere, ma tutto si ferma all’economia. La partita, nel lungo termine, si giocherà sul piano politico-ideologico.”