L’organismo dei maggiori produttori di petrolio, l’Opec, ha deliberato un taglio della produzione di 1,2 milioni di barili, pari a 32,5 milioni di barili al giorno. L’accordo entrerà in vigore dal primo gennaio e vedrà il suo impatto amplificato dal contemporaneo taglio della produzione anche dei paesi non iscritti all’Opec.
Il senso dell’intesa è rivolto a contrastare l’avanzata dei paesi che estraggono il greggio in maniera non convenzionale, Canada e Usa in testa, con costi di produzione più alti rispetto all’estrazione tradizionale. Alzando di fatto il prezzo del petrolio l’Opec cerca di tutelare i paesi del cartello. L’accordo raggiunto rappresenta un cambio di strategia, visto che già nella riunione del 27 novembre 2014 la possibile intesa era saltata per il veto saudita, finalizzato a escludere dal mercato i produttori non convenzionali, che estraggono con costi di produzione più elevati, rispetto a quelli dei Paesi del Golfo. È stata fondamentale la disponibilità dell’Arabia Saudita verso l’Iran che, dopo l’embargo, ha sempre rifiutato il congelamento della produzione sotto il livello pre-sanzioni (4 milioni di barili al giorno). I Sauditi, alla fine, hanno riconosciuto all’Iran un trattamento speciale, consentendogli di mantenere l’output a 3,8 milioni di barili al giorno. Ieri, dopo la decisione Opec, un barile di petrolio era scambiato a 49,75 dollari al barile, facendo segnare un +10%. Ieri la Borsa di Tokyo ha raggiunto i massimi da inizio anno.