Un inizio di ottobre travagliato per le Borsa e lo spread. All’alba del giorno dopo lo scontro con l’Unione europea, il differenziale di rendimento tra i titoli di stato decennali italiani, i Btp, e quelli tedeschi, i Bund, è schizzato oltre i 300 punti base. Poi una battuta d’arresto, poco confortante, a 295 e la chiusura a 282. I Btp hanno toccato il 3,43 per cento, ai massimi dalla primavera del 2014, ma si sono arrestati a 2,29. Anche Piazza Affari apre in negativo: ieri l’indice Ftse Mib aveva guadagnato l’1,5 per cento, chiudendo però in rosso di mezzo punto percentuale. Ha contribuito soprattutto il settore bancario, il cui Ftse Ita Bank ha ceduto il 3 per cento circa.
Anche l’euro a picco. Gli investitori non hanno accolto serenamente il passo indietro del ministro dell’Economia Giovanni Tria, che oggi avrebbe anche dovuto partecipare all’Ecofin. Secondo l’agenzia Bloomberg, hanno pesato anche le parole del presidente della Commissione bilancio della Camera, Claudio Borghi, che a Radio Anch’io ha annunciato: “Sono più che convinto che l’Italia, con una sua moneta, sarebbe in grado di risolvere i suoi problemi”. La dichiarazione si è riflettuta sull’euro, oramai debole a 1,1538 dollari dopo aver aperto sui mercati europei a 1,1579.
Il rendimento dei Btp a due anni fa tirare un sospiro di sollievo. Come sottolinea il Sole 24 Ore, l’oscillazione dello spread legata alle dichiarazioni spesso rischia di destare una preoccupazione esagerata, seppur comprensibile. Quando una crisi importante sta per investire i mercati, ciò che più di tutti sale repentinamente è lo spread che misura il differenziale dei rendimenti tra i Btp decennali e quelli a due anni. Al contrario dello spread che siamo abituati a considerare, quello a due anni è positivo tanto più è alto, poiché la quota 0 è il segnale che i mercati stanno prevedendo una recessione o un default.
I Btp decennali hanno chiuso al 3,31%, mentre quelli a due anni all’1,36%. La curva dei rendimenti non si è appiattita o invertita, come successe nel 2008, ma l’ultima volta che è stata così piatta è stata lo scorso maggio, quando, a seguito della presentazione del contratto del nuovo governo, i tassi a due anni avevano raggiunto quasi i livelli dei Btp decennali. Se è vero che la condizione attuale non è ancora vicina a quella del 2008, è vero anche che non bisogna stare troppo tranquilli in quanto, fino all’approvazione della manovra da parte della Commissione europea il 30 novembre, è lecito ritenere che Piazza Affari e lo spread restino tesi.
I tentativi di rassicurare gli investitori. “Non c’è nessuna emergenza”, ha detto il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, secondo il quale le dichiarazioni dall’Unione europea sarebbero arrivate nel tentativo di far alzare lo spread, che non stava salendo. La replica dell’ex primo ministro Matteo Renzi è arrivata su Twitter: “Chi fa il tifo per lo spread a 300 è un masochista anti-italiano. Ma anche chi causa l’aumento dello spread a 300 è un masochista anti-italiano. La manovra del popolo ci farà fare testacoda. Fermatevi, prima che sia troppo tardi”.
Il dubbio che Tria sia stato ufficiosamente estromesso dalle decisioni sulla manovra continua, però, a far agitare sia i partner europei che gli investitori. Anche Borghi ha tentato di aggiustare il tiro delle sue dichiarazioni su Twitter: “L’uscita dell’Italia dall’euro non è nel contratto di governo. Io sono convinto che l’Italia starebbe meglio con la sua moneta, però la cosa non è nel contratto di governo”. E in un secondo post ha aggiunto: “Il fatto che l’euro crolla per le dichiarazioni di Borghi dovrebbe far capire anche ai più addormentati la presa in giro della moneta forte che tutela dalle speculazioni”.