Marò italiani, caso Battisti e lotte culturali in Argentina, sono questi e molti altri i fonti caldi sui quali rischia di schiantarsi la residua credibilità internazionale del nostro paese. Proprio sul principe dei naviganti è scoppiata una guerra. Adesso, è tornata la calma dietrola CasaRosada, in Argentina. In fondo alla Piazza de Mayo, un blindato della dirección de Tránsito dela Ciudadcontrolla la via, per evitare che la statua di Cristoforo Colombo sia portata via nella notte. Perché il Colombo di roccia è ancora appoggiato lì, per terra, dopo essere stato deposto dalla colonna da dove guardava tutta la città. Vita difficile per il Colombo di marmo argentino. Simbolo e orgoglio della comunità italiana dello stato sudamericano era già stato preso di mira tempo fa. Lo scorso marzo, Clarin, il giornale nazionale argentino, aveva già anticipato le intenzioni del governo nazionale di cambiare il monumento di Cristoforo Colombo a Mar del Plata con una statua dedicata a Juana Azurduy, eroina della lotta antispagnola. La storia. Il 31 maggio scorso avevano incominciato a smontare la statua, ma dei funzionari argentini e rappresentanti di organizzazioni non governative avevano intentato una battaglia legale per evitare che l’operazione andasse in porto. A metà di giugno, il giudice María Alejandra Biotti aveva firmato un’ingiunzione che vietava di porre in essere qualsiasi atto contro la statua di Colombo, ma senza bloccare alcun provvedimento che fosse destinato alla conservazione della statua. Ma non solo gli italo-argentini a essere ribellati alla decisione della presidente Christina Kirchner, perché è dall’alto che è partita l’operazione “traslazione”. Tutti i cittadini di Buenos Aires, i portenos si sono schierati contro la decisione governativa. Non è solo una lotta architettonica. Dietro la statua, infatti, si nasconde il significato emotivo che Colombo riveste per gli italiani argentini. I quali, dietro il sindaco Mauricio Macri, si sono da subito mobilitati contro la decisione del governo. Da un lato un simbolo di una conquista europea, Colombo, dall’altro un’icona della guerriglia antispagnola che la presidente Kirchner fortemente vuole al posto dell’attuale statua. Vediamo chi si aggiudicherà il podio. Attraversando l’Oceano si trova un altro fronte caldo per il nostro paese. Non si scioglie la situazione difficile dei due Marò, Girolamo Latorre e Salvatore Girone. I due soldati a bordo dell’Enrica Lexie avevano aperto il fuoco contro un’imbarcazione ritenuta ostile. Due pescatori indiani rimasero uccisi, e dopo l’approdo sulle coste del Kerala furono tratti in arresto dalle autorità indiane. La presenza di militari sulle navi commerciali è un argomento piuttosto controverso. Sarebbero veramente da considerare dei deterrenti? Oppure, al contrario come molti pensano, devono considerarsi invece delle provocazioni? Sta di fatto che resta anche un non trascurabile problema giuridico: chi ha la giurisdizione in un caso come questo. Questione giuridica strettamente connessa al diritto internazionale e al tema dell’internazionalità delle acque. Dopo febbraio 2012 si è aperta una querelle infinita con il governo indiano. Dopo il ritorno in Italia a Natale dello scorso anno, e l’imbarazzante problema del “riconsegnare i due soldati o no”, sembra che sulla faccenda sia calato una coltre di ferro. Poco se ne parla, ma di quel poco che si sa la situazione non sembra evolversi in modo definitivo. Da principio, una Corte del Kerala aveva preso in mano la situazione, subito interrotta dalla Corte Suprema indiana. L’11 marzo il ministro degli Esteri aveva rotto la promessa di rispedire indietro gli italiani. Il primo ministro Singh, solitamente moderato, aveva espresso fortissime riserve sul comportamento italiano. Il 14 marzola SupremaCorte, come controffensiva, aveva deciso che il nostro ambasciatore, Mancini, non avrebbe dovuto lasciare l’India, come precauzione gli erano stati tolti passaporti e varie carte.
Nonostante il basso profilo sui giornali, la situazione resta ancora tesissima. E sono vari i motivi che tengono alta la tensione. Il primo riguarda i rapporti commerciali tra Italia e India, già guastati dopo il pericoloso collasso di un contratto da 740 milioni di dollari per l’acquisto degli elicotteri Agusta Westland, prodotti da una filiale inglese dell’azienda tutta italiana Finmeccanica. Dopo le credibili accuse di corruzione l’accordo saltò, facendo riemergere antiche suggestioni, nell’opinione pubblica indiana, di vecchi scandali che avevano travolto la classe dirigente. Il secondo aspetto non è meno rilevante del primo. Il presidente del Congress Party, Sonia Gandhi, è nata nel nord Italia da una famiglia italiana. È una cittadina indiana e ha vissuto nel paese per molti anni, ma nonostante questo nel 2004 decise di rinunciare al titolo di Primo Ministro, nonostante la schiacciante vittoria del suo partito alle elezioni, proprio per lasciarsi alle spalle le critiche che erano cominciate a diventare intollerabili sulle sue origini. Cedette il posto al più placido Singh. Adesso la situazione si è fatta ancora più difficile per questa donna. Inoltre, un già presente sentimento anti italiano è prepotentemente riemerso grazie anche al lavoro certosino di una stampa schierata che ha fatto ricordare agli indiani l’affare Bofors. Un caso di corruzione nel quale era apparso un altro italiano accusato di aver intascato enormi somme di denaro, per di più amico intimo dell’allora primo ministro Rajiv Ghandi, marito di Sonia.
Sui marò L’Italia spera di risolvere la questione in maniera amichevole, ancora. Nonostante tutto. Ma il litigio sembra infinito. Una promessa politica rotta, l’iperreazione indiana, minacce economiche, tutto sembra volgere al peggio sia per l’Italia sia per i due marò che sono finiti, loro malgrado, in un ragnatela di rapporti dove il loro caso, in rapporto alle altre variabili in gioco, è quasi irrilevante.
Un altro fronte bollente per l’Italia resta il caso Battisti. Tutto politico questa volta. La svolta inattesa è arrivata pochi giorni fa, quando una decisione del Tribunale Supremo di Giustizia brasiliano ha permesso di ipotizzare l’espulsione di Cesare Battisti: l’ex terrorista dei Proletari Armati per il Comunismo condannato all’ergastolo in Italia e che ha ottenuto l’asilo politico in Brasile, dopo essere scappato dalla Francia, dove per anni ha goduto di una protezione politica ed economica di alto livello. Sono stati più di uno i tentativi di chiedere l’estradizione al governo brasiliano, tutti falliti e rigettati dall’allora presidente Lula e dall’attuale Roussef.
Il tribunale brasiliano ha respinto il suo ricorso contro una condanna per la falsificazione di timbri a imitazione di quelli del servizio immigrazione brasiliano, sul passaporto con il quale entrò nel paese, nel 2004. Scoperta la truffa subito dopo il suo arresto, sono state fatte perizie per accertare l’infrazione e, nel processo, è stato anche dimostrato che Battisti era perfettamente consapevole della falsità delle marcature. La legge brasiliana prevede l’espulsione per chi falsifica i documenti per ottenere l’ingresso o il soggiorno nel Paese. Adesso il caso è nelle mani del ministro della Giustizia: Jose Eduardo Cardozo per «le misure ritenute ragionevoli». Battisti, cinquantanove anni, è stato condannato all’ergastolo in contumacia in Italia nel 1993 per quattro omicidi compiuti alla fine degli anni ’70. Era fuggito dalla Francia nel timore di una possibile estradizione, riparato in Brasile era stato arrestato nel 2007. Trascorsi 4 anni e 4 mesi in carcere a Brasilia, era stato liberato il 9 giugno 2011; con un tempismo perfetto, poche ore dopo la sua scarcerazionela Corte Supremabrasiliana aveva bocciato la richiesta di estradizione in Italia, accordandogli poi lo status di rifugiato politico. «L’estradizione di Battisti fu respinta dalla Corte Suprema, ma questa’ultima sentenza potrebbe cambiare le cose», ha dichiarato la portavoce del tribunale. Il legale brasiliano di Cesare Battisti, Luiz Eduardo Greenhalgh, ha annunciato che intende presentare appello al Supremo tribunale federale contro la mancata accettazione del ricorso presentato dall’ex terrorista rosso. «Non seguiremo la via amministrativa ma faremo ricorso per via giudiziaria», ha detto Greenhalgh, ex deputato del partito dei Lavoratori, lo stesso della presidente Dilma Rousseff e del suo predecessore Lula. Dall’Italia per ora arrivano soltanto commenti, quasi tutti di esponenti del centro destra che si augurano un presto ritorno a casa di Battisti. Da qui non si può fare di più.
L’Italia fatica a riconquistare credibilità nel mondo. I difficili rapporti tra Italia ed estero in tre casi
05 Luglio 201349