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"L'intelligenza artificiale
per verificare l'età
degli utenti sui social"

L'avvocato Guido Scorza a Lumsanews

"La profilazione dei minori è illecita"

di Roberta Chiarello17 Marzo 2022
17 Marzo 2022

Guido Scorza è un avvocato cassazionista e componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. Ha spiegato a Lumsanews come la privacy dei minori può essere tutelata sui social.

Circa un anno fa il Garante ha ordinato a Tik Tok il blocco immediato dei profili di cui non si potesse accertare l’età. Quali sono i passi in avanti a un anno di distanza?
“Il Garante ha avviato una serie di iniziative ulteriori rispetto a quelle oggetto dell’ordine, come attività di formazione, educazione e consapevolezza attraverso media diversi sia dentro Tik Tok sia attraverso televisione, giornali, eventi, collaborazioni con associazioni di consumatori. E sopratutto ha avviato uno studio per provare a identificare delle soluzioni che consentano, anche attraverso il ricorso a intelligenza artificiale, di verificare l’età degli utenti”.

Su Tik Tok e altri social è vietata l’iscrizione ai minori di 13 anni, ma questo divieto sembra facilmente aggirabile. Cosa ha fatto il Garante per risolvere questo problema?
“Attualmente non è cambiato nulla, non è ancora possibile verificare età dell’utente ma è aumentato il numero di moderatori in lingua italiana che verificano ex post , un istante dopo l’ingresso in piattaforma, che osserva quali sono i contenuti che attraggono l’interesse dell’utente che ha dichiarato di avere 13 anni. La piattaforma a quel punto blocca l’utente, e gli dà la possibilità di rientrare solo previa presentazione di documento d’identità. Anche un utente può segnalare, tramite apposito pulsante in app, un profilo sospettando che dietro ci sia un bambino”.

A chi rivolgersi se il bambino è vittima di cyberbullismo o revenge porn sui Social?
“Prima di tutto alle figure di riferimento del bambino, come genitori, scuola, o un adulto di cui si fidi. Dal punto di vista delle autorità, dipende dal rischio che si ha davanti.
Per il cyberbullismo ci sono tre strade parallele: la più diretta consiste nel segnalare il contenuto alla piattaforme affinché venga rimosso. Se l’interazione diretta con i social non produce quel minimo risultato, ci si può rivolgere al Garante andando nella sezione dedicata sul sito, compilare il modulo e inviarlo. Non c’è nessun requisito di forma né serve un avvocato. Per tutto il resto, dopo aver affrontato la situazione di emergenza, tendenzialmente l’interlocutore privilegiato è la polizia postale o la magistratura, per perseguire gli autori della condotta di cyberbullismo. Per il revenge porn: il potere del Garante è analogo, si può segnalare l’abuso attraverso modulo. Ma in questo caso, oltre a poter intervenire ex post, è possibile farlo ex ante. Se la potenziale vittima non ha ancora subito l’episodio di revenge porn ma teme che i contenuti stiano per essere pubblicati, si può chiedere di bloccare in maniera preventiva questi contenuti”.

I social sfruttano i dati personali dei minori a scopo di profilazione commerciale. C’è qualche forma di regolamentazione di questa pratica?
“Normalmente queste azioni di marketing mirato sono figlie di attività di profilazione. I social monitorano il comportamento del bambino mentre usa Tik Tok, raccolgono e organizzano le sue preferenze, e vendono a un gestore pubblicitario la possibilità di raggiungere un bambino che ha un’inclinazione verso un determinato prodotto. Il gestore della piattaforma però ha bisogno di un consenso, che non può essere dato dal minore al di sotto dei 13 anni. Salva l’ipotesi che non ci sia un consenso dei genitori, almeno in relazione ai bambini sotto i 13 anni la pubblicità targettizzata non dovrebbe esserci e quando c’è è illecita, con la conseguenza che il Garante può intervenire”.

Spesso sono proprio i genitori a esporre, sin dalla prima infanzia, i propri figli ai social o a incentivarne l’uso. Un genitore può violare la privacy di un minore solo perché si tratta di suo figlio?
“Questo è un fenomeno diffusissimo che va sotto il nome di “sharenting”. Un genitore ha il diritto di gestire la privacy del figlio ma naturalmente deve farlo nell’interesse del minore. sono scelte genitoriali, ma la sovraesposizione del minore, anche fatta in assoluta buona fede, è una condotta che espone a una serie di rischi concreti il minore. I rischi son sempre gli stessi: quell’immagine, purtroppo è ormai scientificamente provato, finisce molto spesso ad affollare database pedopornografici, e nel peggiore dei casi, tramite la tecnologia del “deep fake”, il bambino diventa a sua insaputa protagonista di video pedopornografici”.

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