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HomeCronaca L’inquinamento atmosferico causa un’accelerazione della diffusione del Covid-19

Inquinamento e Covid-19
Lo smog manterrebbe vivo
il virus molto più a lungo

Lo studio rivelerebbe perché alcune aree

risulterebbero maggiormente suscettibili

di Marco Valentini19 Marzo 2020
19 Marzo 2020

FILE - In this Nov. 24, 2014 file photo, smoke streams from the chimneys of the E.ON coal-fired power station in Gelsenkirchen, Germany. The U.N. weather agency says levels of carbon dioxide and methane, the two most important greenhouse gases, reached record highs last year. Pushed by the burning of coal, oil and gas for energy, global CO2 levels are now 143 percent higher than before the industrial revolution and scientists say thats the main driver of global warming. (ANSA/AP Photo/Martin Meissner, File)

Il Covid-19 è ancora una malattia troppo recente perché la comunità scientifica possa delinearne bene i contorni e comprenderne a pieno le cause del rapido contagio. Un’ipotesi, avvalorata da alcuni studi, si fa largo però tra gli esperti: l’inquinamento potrebbe giocare un ruolo decisivo nel creare il terreno fertile alla proliferazione di questo Coronavirus.

Secondo uno studio effettuato dalla Società di medicina ambientale (Sima) in collaborazione con le Università di Bari e Bologna, le polveri sottili presenti nell’atmosfera potrebbero svolgere il ruolo di acceleratori dell’infezione. Questo, per esempio, spiegherebbe l’elevato numero di contagi in zone iper-industrializzate come la pianura padana, in particolar modo la Lombardia. Dallo studio emergerebbe come nel particolato atmosferico, a causa dell’inquinamento, si costituisca un substrato che consentirebbe al virus di rimanere nell’aria, in condizioni vitali, per un tempo che gli studiosi indicano in termini di ore o giorni. Non si tratta di una ipotesi azzardata: la letteratura scientifica è infatti già ricca di ricerche che descrivono come le polveri sottili svolgano il ruolo di vettore di trasporto e diffusione per molti virus. I ricercatori del Sima, analizzando i dati forniti dall’Arpa (Agenzie regionali per la protezione ambientale) relativi al superamento dei limiti di legge di concentrazione nell’aria di polveri sottili, e incrociandoli con quelli relativi ai contagi di coronavirus forniti dalla Protezione Civile, hanno rilevato una curva che mostra come la diffusione maggiore sia avvenuta proprio nelle zone dove lo sforamento era più elevato.

Questo significa che, come sottolinea il ricercatore del dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, Gianluigi De Gennaro, “l’inquinamento crea autostrade per i contagi”. Lo studioso, alla luce dell’indagine scientifica portata avanti, evidenzia anche come le distanze di sicurezza tra le persone finora indicate “siano insufficienti soprattutto in presenza di concentrazioni elevate di polveri sottili nell’aria”.

In attesa di conferme in merito a questa teoria e di maggiori studi sul Coronavirus, si potrebbe azzardare un parallelismo tra la diffusione accelerata dei contagi avvenuta nel Nord Italia e quella riscontrata a Wuhan, capoluogo dell’Hubei, ovvero una delle aree più industrializzate della Cina.

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