Continuano le tensioni in Libia, dopo l’ordigno esploso a Bengasi lungo il muro di cinta di un ufficio dell’ambasciata americana nella notte tra martedì e mercoledì scorso. Ancora tortuosa, quindi, la strada per il ripristino di un sistema democratico nel Paese, a otto mesi di distanza dalla morte di Gheddafi. A rischio le elezioni dell’assemblea costituente previste per il 19 giugno: potrebbero slittare alla prima settimana di luglio.
L’esplosione. La bomba «non artigianale», che non ha causato alcuna vittima, è stata posta presso l’ufficio dell’ambasciata americana, in un’area dove si trovano tre palazzine. L’atto terroristico è stato rivendicato dal “Gruppo Prigioniero Omar Abdelrahman”, al fine di minacciare «gli interessi americani nel Paese nordafricano», ha riferito una fonte della sicurezza a Bengasi. Un funzionario dell’ambasciata Usa ha chiesto al governo libico di incrementare la sicurezza nei pressi delle proprie strutture, considerate zone ad alto rischio.
Caos pre-elettorale. Quello dell’altra notte, è stato solo l’ultimo atto di un disordine che sta ormai tormentando il paese da tempo. Lo scorso 4 giugno, era avvenuto un attacco all’aeroporto di Tripoli, per mano delle milizie del gruppo al-Awfea, venute da Tarhuna per richiedere la liberazione del loro leader Abu-Alija Habshi, rapito in circostanze ancora ignote. Discutibili, a detta di molti, le misure di sicurezza adottate, a sole due settimane dall’apertura dei seggi elettorali, dall’attuale presidente libico Mustafa Abdul-Jalil. Nel Paese la situazione appare tutt’altro che sotto controllo: le città di Sabbha e Kufra restano ancora teatro di battaglie tribali, mentre Zintan e Misurata sono diventate vere e proprie città-stato indipendenti dal Consiglio Nazionale di Transizione.
Elezioni a rischio. Il voto per l’assemblea costituente libica era inizialmente previsto per il 19 giugno. Il rischio che le elezioni possano essere posticipate alla prima settimana di luglio è stato comunicato da Al-Jazeera. Tra le cause del possibile ritardo, i curricula non ancora pronti degli oltre 4000 candidati ai duecento posti previsti per il nuovo parlamento libico. Ad allungare i tempi avrebbe contribuito anche l’uscita di scena dell’ex presidente della commissione elettorale, Sghair Majeri, che ha definito la nazione «non pronta ad andare al voto» nei termini stabiliti.
Lo scenario politico e i partiti. Le forze politiche favorite alle prossime elezioni sarebbero secondo alcuni sondaggi il Fronte Nazionale, il partito Giustizia e Sviluppo dei Fratelli musulmani, il partito della Nazione dell’ex guerrigliero islamico Abdel Hakim Belhadj e l’Alleanza delle forze nazionali. Di questi, Giustizia e Sviluppo e partito della Nazione sono di matrice confessionale, pur dichiarando di credere in una Libia libera, trasparente e democratica, basata sui principi dell’Islam. Il Fronte Nazionale dell’attuale presidente Jalil, invece, è costituito in prevalenza da ex figure di rilievo nel governo di Gheddafi.
Gianluca Natoli