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Libia nel caos e altre crisi, quanto ci costa l’instabilità nel Mediterraneo? Dibattito a Roma

di Nino Fazio04 Marzo 2015
04 Marzo 2015

Libia nel caos e altre crisi, quanto ci costa l’instabilità nel Mediterraneo. Dibattito a Roma

“Tra le sanzioni all’Iran, la Libia perduta e il blocco delle esportazioni verso la Russia, l’Italia rinuncia a più di 130 miliardi di euro, qualche punticino di Pil”. A parlare è Alessandro Politi, analista politico e strategico che legge le crisi  mediorientali come rapporti di forza tra potenze che si contendono gli stessi interessi economici.

La cornice è quella del Circolo romano del PD di via dei Giubbonari, a due passi da Campo de’ Fiori. L’argomento, di estrema attualità, è “la Libia dalla transizione democratica all’orlo dell’abisso”. A quattro anni dalla “Primavera libica”, i presupposti di libertà e pace sono stati disattesi, spazzati via come i nostri interessi commerciali. Eravamo il primo partner di Gheddafi, ha sottolineato l’inviato de “Il Sole 24 Ore Alberto Negri, prima che  i bombardamenti, iniziati il 19 marzo 2011, ponessero fine alla storia dell’Italia in Libia. “Non è stato colpito solo il tiranno – ha detto – sono stati bombardati i nostri interessi economici”. Il giornalista ha imputato a Giorgio Napolitano la scelta sconveniente – soprattutto a livello economico – di affiancare gli inglesi e i francesi, interessati al controllo dei pozzi petroliferi. Il premier dell’epoca era Silvio Berlusconi – fautore degli accordi di cooperazione con Gheddafi “che ci costarono tanto in dignità” – mentre ministro degli Esteri era Frattini. A decidere di voltare le spalle al generale fu, però, Giorgio Napolitano, “seduto su una poltrona del teatro dell’Opera di Roma”.

Scelta obbligata, secondo l’ambasciatore ed ex Direttore Generale per l’Africa, Maurizio Melani, che ha puntato il dito invece su “alcuni Paesi limitrofi che impediscono la stabilizzazione di Libia e Iraq”. Gli interessi, manco a dirlo, sono di natura economica: “L’Arabia Saudita vuole mantenere il caos in questi Paesi per evitare che le facciano concorrenza nella produzione di idrocarburi”.

Tutti d’accordo, la normalizzazione dell’area è fondamentale per la sicurezza e l’economia dell’Italia, che deve lavorare a livello diplomatico. Un intervento militare porterebbe solo altri problemi: Sono troppe le fazioni che si contendono il territorio libico, da ultimi i miliziani dello Stato Islamico, che minacciano di superare il canale di Sicilia e conquistare la “Nazione della Croce”. Pericolo inesistente e gonfiato ad arte dai media, secondo i relatori. “Io non vedo un Isis alle porte del raccordo anulare”, ha detto Fabio Nicolucci, esperto di politica e sicurezza del Medio Oriente. “Hanno al massimo 2mila uomini contro i 40mila delle truppe di Misurata che li affrontano”, rassicura. E poi dell’Italia non se ne fanno nulla: “Roma – come Costantinopoli – è solo un simbolo”.

Nino Fazio

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