Nella storia istituzionale italiana capita spesso di assistere nel corso di una legislatura a ribaltoni politici, maggioranze parlamentari chi si fanno e si disfano, avvicendamenti nei ruoli di potere.
Meno mutabili invece gli equilibri interni alle Commissioni parlamentari dove, a dispetto delle trasformazioni governative, le posizioni di vertice rimangono assegnate agli stessi parlamentari per l’intera legislatura.
Succede così che la Lega, sebbene fuori dalla maggioranza dopo la spaccatura dell’alleanza giallo-verde dello scorso agosto, controlli con i propri presidenti 10 delle 28 Commissioni parlamentari permanenti.
Nelle restanti 18 è comunque presente all’interno dell’Ufficio di Presidenza, essendosi garantita uno tra i due vicepresidenti previsti. Il partito di Matteo Salvini ha dunque 28 ruoli chiave su 28 Commissioni. Nemmeno il Movimento 5 Stelle, il primo partito d’Italia, può vantare un risultato così numericamente importante, fermandosi a 26.
Un bottino non da poco, perché nelle Commissioni si svolge il lavoro di preparazione e modifica dei disegni di legge ed è l’Ufficio di Presidenza a predisporre il programma e il calendario dei lavori di queste mini-assemblee, incidendo pesantemente su tempi e modi dei lavori parlamentari. Presidenti e vicepresidenti inoltre ricoprono, assieme ai capi dei gruppi parlamentari, il ruolo di relatori dei progetti di legge in Assemblea, posizione per la quale ricevono un’indennità.
Il risultato? Il controllo profondo svolto da chi riveste una posizione apicale all’interno delle Commissioni può portare a un indebolimento dell’esecutivo, attraverso manovre ostruzionistiche e ritardi. Il tutto sommato al fatto che a differenza di quanto accade in Aula, nelle Commissioni. permanenti non è obbligatoria la redazione di un resoconto stenografico puntuale dei lavori, ma soltanto sommario, con conseguenze sensibili sulla trasparenza delle dinamiche interne alle assemblee.