L’industria della localizzazione mobile è nata come un modo per personalizzare le app e indirizzare gli annunci per le attività commerciali nelle vicinanze, ma si è trasformata in una complessa macchina di raccolta e analisi dei dati. Un’approfondita inchiesta del New York Times mette in guardia la popolazione dello smartphone, decine di aziende vendono i dati dei nostri cellulari agli inserzionisti pubblicitari.
Le aziende che gestiscono questo mercato dicono che il loro interesse è relativo ai profili di consumatori rivelati dai dati, non alle identità personali. Infatti le informazioni raccolte non sono legate al nome o al numero di telefono di qualcuno ma a un ID univoco. Tuttavia, coloro che hanno accesso ai dati grezzi potrebbero comunque identificare una persona senza consenso. Ma, secondo il New York Times, le spiegazioni che gli utenti leggono, quando viene chiesto di localizzare il proprio smartphone, sono spesso incomplete o fuorvianti. Un’app può dire agli utenti che concedere l’accesso alla loro posizione li aiuterà a ottenere informazioni sul traffico, ma non che i dati saranno condivisi e venduti. Questa informazione infatti spesso è sepolta in una politica sulla privacy molto vaga.
Le aziende che utilizzano i dati sulla posizione dicono che le persone accettano di condividere le loro informazioni consapevolmente, in cambio di servizi personalizzati, premi e sconti. Le app costituiscono la spina dorsale di questa nuova economia dei dati di posizione. Gli sviluppatori possono fare molti soldi vendendo direttamente i loro dati, o condividendoli per annunci basati sulla posizione. Le aziende di localizzazione pagano, agli sviluppatori di app, da mezzo centesimo a due centesimi per utente al mese. La pubblicità mirata è di gran lunga l’uso più comune delle informazioni acquisite. I leader del settore sono i colossi Google e Facebook, che raccolgono i dati direttamente dalle proprie app, dichiarano di non venderli ma li tengono per personalizzare i propri servizi.