Dai dati raccolti dall’associazione Libera emerge che, per ciò che concerne le vittime innocenti della criminalità organizzata, c’è stato un picco massimo nel 1982, con ben 54 morti, 23 dei quali in Sicilia. Altro picco nel ’90. Mentre negli ultimi anni, ad esempio nel 2016 e nel 2017, ci sono state soltanto due morti.
Emanuele Crescenti è il procuratore capo di Barcellona Pozzo di Gotto. A Messina, dal 2001, in Direzione Distrettuale Antimafia, ha gestito le principali inchieste in città e provincia e fascicoli di rilievo come il maxi processo “Panta Rei”, sull’infiltrazione delle ‘ndrine all’Università.
Cosa è cambiato secondo lei?
«L’errore è quello di considerare che a una diminuzione di fatti di sangue corrisponda una minore pericolosità della mafia. Sia studi sociologici che giudiziari dimostrano che quando la mafia uccide e ci sono aspetti collegati a fatti di sangue è soltanto quando non può farne a meno. Se non spara non vuol dire che è stata sconfitta, che sia scomparsa o in difficoltà, anzi. È segno che riesce a controllare i suoi affari senza bisogno di fare ricorso alla forza. Il fatto che siano diminuite le vittime innocenti è una conseguenza della riduzione dei fatti di sangue e delle guerre di mafia. Evidentemente c’è un’attenzione maggiore da parte dello Stato, c’è un maggiore controllo sul territorio e questo è innegabile. Ma c’è anche un’attenzione da parte delle organizzazioni criminali che evitano i fatti di sangue perché non conviene neanche a loro».
Lei è il procuratore capo di Barcellona Pozzo di Gotto. Com’è la situazione lì?
«Barcellona è un territorio particolarmente difficile per le organizzazioni criminali. È il fulcro operativo nella provincia di Messina. C’è una cultura criminale molto forte. Ci sono ancora episodi intimidatori e di danneggiamento tramite condotte che possiamo considerare storicamente affermate, anzi un po’ superate dal punto di vista storico, ad esempio dar fuoco ai negozi. La mafia storica barcellonese dal punto di vista generazionale è sotto processo o in carcere con pene definitive; però c’è una recrudescenza giovanile. Qui abbiamo avuto l’unico episodio di omicidio negli ultimi anni della provincia: un episodio di lupara bianca. Abbiamo registrato anche dei fenomeni di violenza ai danni di gestori di esercizi commerciali, intimidazioni a cantieri o altro».
La ‘ndrangheta si sta espandendo anche al Nord Italia. Quanto questo fenomeno riguarda anche la mafia?
«La ‘ndrangheta, più che espandersi, ha un collegamento di ranghi ereditari, di famiglie che restano in contatto con il territorio di appartenenza ma si vanno a collegare in zone strategiche nuove. C’è una evoluzione anche su questo. Per la mafia è uguale. I fenomeni criminali organizzati, nella loro evoluzione e nel loro stare nella società, non sono diversi da quelli che sono gli aspetti ordinari e legali. Ad un mondo globalizzato legale, corrisponde una globalizzazione dell’attività criminale. Ormai non ha senso parlare di un radicamento territoriale. La mafia si sposta là dove ci sono denari e interessi, e in questo momento forse ce ne sono di più al di fuori della Sicilia».
Si dice che la mafia al Nord sia silente. È realmente così?
«Probabilmente è così perché la mafia al Nord ha una specifica necessità: non quella di controllare il territorio ma quella di inserirsi negli affari; rappresenta il passaggio ultimo, la soluzione finale del disegno mafioso e cioè quello di inserirsi nella organizzazione legale e negli appalti. Quindi è chiaro che lì non ha nessun interesse ad ammazzare. Si mostra la mafia in giacca e cravatta che ha interesse a inserirsi negli aspetti economici, facendo leva su quella che è la grande massa di denaro. La droga muove flussi di denaro che sono impensabili dal punto di vista legale. La mafia ha un unico problema: quello di reinvestirli e quindi l’inserimento nei circuiti economici che diventa non soltanto la soluzione migliore ma anche abbastanza facile perché con i soldi in mano non hanno un’esigenza di guadagno ma solo quella di ripulirli. L’imprenditore deve guardare al guadagno e non soltanto al ricavo, quindi ha esigenze di ammortizzare i costi che sono legati all’attività imprenditoriale».
È questo il motivo per cui ci sono meno vittime innocenti? Le organizzazioni criminali si muovono su un altro piano?
«Ormai l’attività mafiosa ha un radicamento ben diverso, più forte, non ha esigenza di avere un esercito che spara. Anche all’interno delle guerre di mafia ci sono meno morti oggi. Non è soltanto l’analisi delle vittime innocenti. Anche all’interno delle stesse organizzazioni criminali sono radicalmente diminuiti i morti perché con l’evoluzione, anche culturale, che hanno avuto il mondo e il sottomondo mafioso, si tendono a reprimere le forme più virulente per ragionare in termini diversi».