C’è poco da gioire di fronte ai dati dell’Istat, che segnalano un calo della disoccupazione giovanile. Entro il 2050 l’Italia rischia di annoverare tra i suoi poveri quasi 5,7 milioni di lavoratori. E’ la fotografia scattata dall’ultimo rapporto Censis Confcooperative “Millenials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”. Uno scenario che rischia di materializzarsi a causa della mancanza di garanzie e di prospettive future: il ritardo nell’ingresso del lavoro, la discontinuità contributiva e la debole dinamica retributiva di molte attività lavorative.
«Queste condizioni hanno attivato una bomba sociale che va disinnescata», ha dichiarato il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, lanciando un appello al futuro governo «di impegnarsi con determinazione per un patto intergenerazionale che garantisca ai figli le stesse opporunità dei padri».
A danneggiare i giovani è sopratutto lo slittamento verso il basso degli stipendi: condizione aggravata dall’assenza in Italia di minimi salariali. Secondo l’indagine di Confcooperative lo scenario è dettato dalla diffusione di tipologie lavorative di bassa qualità e intensità. Numeri alla mano, in Italia si segnalano 71.000 i giovani sottoccupati, 656.000 con contratto part-time involontario e 415.000 impegnati in attività non qualificate.
Dal rapporto emerge ancora una volta un’Italia spaccata: nella fascia 25-34 anni (totale 2 milioni), i giovani che non lavorano e non studiano che vivono nelle sei regioni del Sud sono oltre la metà, ben 1,1 milioni, di cui 700mila circa concentrati in sole due regioni, Sicilia (317mila) e Campania (361mila).
Il focus di Confcooperative si concentra poi sul tema previdenziale. Secondo l’indagine è in atto un discriminazione tra generazioni sulle pensioni di oggi e quelle del futuro. “Il confronto fra la pensione di un padre e quella prevedibile del proprio figlio segnala una decisa divaricazione del 14,6%”, si legge nella ricerca.