Tre giorni. Tanto è bastato per registrare la prima vittima sul lavoro del 2025: Francesco Stella, un operaio di 38 anni morto dopo un volo di sei metri da un’impalcatura in un cantiere a Lamezia Terme, in Calabria. Nel solo mese di gennaio ci sono stati altri 59 infortuni mortali, con un incremento del 33,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024. Un bilancio drammatico, dietro il quale ci sono vite e famiglie distrutte da un lutto che spesso non ottiene giustizia.
I numeri in aumento
Già nello scorso anno si erano registrate 32 vittime in più rispetto al 2023, toccando quota 1090, mentre gli infortuni erano stati in totale 540 mila. A oggi, quasi un terzo delle regioni rientra nel criterio di “zona rossa”: qui l’incidenza infortunistica è superiore al 125% dell’incidenza media nazionale. “Le regioni in fascia rossa presentano spesso caratteristiche produttive comuni, in particolare presenza di settori ad alto rischio, si pensi ad esempio ai lavori agricoli in particolare svolti su terreni non pianeggianti” chiarisce il direttore dell’Osservatorio Vega Federico Maritan. L’edilizia fa registrare il maggior numero di vittime anche a gennaio 2025, a causa delle caratteristiche del settore e dello scarso rispetto delle norme di sicurezza. Mentre i lavoratori stranieri continuano a subire un rischio di morte più che doppio rispetto agli italiani.
L’incidenza di infortuni sul lavoro regione per regione

“Sono soprattutto i cantieri a uccidere” spiega a Lumsanews Mauro Rossato, presidente dell’Osservatorio sicurezza sul lavoro e ambiente Vega di Mestre. “Dobbiamo proteggere in modo molto più efficace i lavoratori stranieri, lavorando sulla formazione per superare le frequenti difficoltà legate alla comprensione della nostra lingua e a un background culturale molto diverso dal nostro”, denuncia Rossato.
Quando l’origine fa la differenza
In effetti, tra i cittadini stranieri si registrano 69,1 morti ogni milione di occupati, contro i 26,7 degli italiani che perdono la vita sul lavoro. “I lavoratori stranieri sono occupati prevalentemente in settori ad alto rischio, come le costruzioni, i trasporti e l’agricoltura. Il bracciantato straniero è molto diffuso, soprattutto al sud. I rischi sono grossi”, conferma Franco D’Amico, statistico dell’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro . Del resto, “gli stranieri fanno i lavori che gli italiani ritengono più pericolosi e faticosi”, continua lo studioso. Motivo per il quale “risultano maggiormente esposti al rischio di infortunio o peggio di morte”.
Ma non è solo una questione di tipo e luoghi di lavoro. I problemi sono perlopiù contrattuali e linguistici. “I lavoratori stranieri sono coloro che hanno ovviamente le modalità di lavoro e gli aspetti contrattuali più problematici”, evidenzia Sebastiano Calleri, responsabile nazionale per la Cgil di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. “Subiscono pesantemente le forme di lavoro irregolare, lavoro nero e lavoro grigio, ovviamente per il fatto che molte volte non conoscono bene neanche la nostra lingua”, spiega il sindacalista. Un aspetto che molto spesso pregiudica anche la loro formazione “che rischia di essere inutile perchè fatta in italiano”.
Il monitoraggio delle condizioni di lavoro
Ma come valutare allora la sicurezza delle aziende? Dal 1° ottobre 2024 è obbligatoria la cosiddetta patente a punti per le aziende e i lavoratori autonomi che prevede l’attribuzione di 30 punti, decurtabili in caso di violazioni delle norme di sicurezza, infortuni o decessi. Un dispositivo che però mette in discussione, secondo il dirigente della Cgil, “il principio di qualificazione delle imprese stabilito dal decreto 81 del 2008”, che mira ad escludere operatori non regolari e a premiare quelli più affidabili.
L’atteggiamento nell’ordinamento interno rispecchia una carenza di attenzione sul tema della una carenza di attenzione sul tema della sicurezza che si rende manifesta anche nel recepimento delle direttive europee, come la strategia salute e sicurezza. Provvedimento adottato dalla Commissione europea nel giugno del 2021 con l’obiettivo di aiutare gli Stati membri ad adattarsi alle nuove esigenze di sicurezza sul lavoro, derivate dall’evoluzione e dallo sviluppo tecnologico. “L’Italia è l’unico paese in Europa a non avere una strategia su salute e sicurezza”, ricorda ancora Calleri. Mentre a livello sovranazionale manca un “coordinamento tra i diversi stati membri” aggiunge Maritan. Un sintomo della poca attenzione dedicata al crescente numero delle morti bianche.
La necessità di interventi normativi
Nonostante i dati preoccupanti, l’ltalia da un punto di vista normativo ha “una delle leggi più avanzate in Europa, il decreto legislativo 81 del 2008”, ricorda Calleri. “Per ridurre i numeri degli infortuni e migliorare le condizioni di lavoro servirebbe mettere in atto le parti ancora inapplicate del testo unico e evitare di continuare a fare provvedimenti spot solo su alcuni argomenti che vengono incontro a precisi interessi delle sole aziende”. Manca infatti il coordinamento tra gli enti ispettivi che era previsto dal decreto dell’81” e le ispezioni risultano “poche, poco frequenti e di bassa qualità”.
La percezione del problema
Se gli strumenti normativi per migliorare le condizioni di lavoro non mancano, la scarsità di interventi correttivi sulla sicurezza del lavoro suscita spesso l’interesse del mondo dello spettacolo. Proprio dal cinema arriva l’ultimo appello, quello di Valerio Mastandrea in un’intervista a Repubblica.
Nella sua opera prima da regista del 2018, “Ride”, Mastandrea ha affrontato una dimensione particolarmente toccante del fenomeno: l’elaborazione di un lutto che spesso diventa pubblico. È il destino di molte famiglie, costrette a fronteggiare anche l’attenzione mediatica molesta oltre che il dolore della perdita. “Ormai siamo abituati alle morti bianche come a quelle degli africani in un naufragio. Sono simbolo dell’ipocrisia del mondo in cui viviamo. – spiega Mastandrea a ‘Coming Soon’ – Un personaggio nel film dice ‘si muore in guerra, non al lavoro’. Un’ottima sintesi della questione”.
Bisognerà comunque aspettare dicembre “per avere dei dati affidabili ed armonizzati” sulle morti bianche come ricorda lo statistico Franco D’Amico che, nonostante il triste record di gennaio 2025, definisce “prematuro” parlare di un annus horribilis. Eppure, se i numeri dovessero seguire la tendenza di gennaio, ci troveremmo di fronte a un anno da record, che supererebbe di molto il bilancio drammatico del 2024.