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Lati-tanti d’Italia, il gioco al ribasso dei governi sui numeri. E intanto spunta una talpa al tribunale di Palermo

di Nino Fazio16 Maggio 2014
16 Maggio 2014

Lati-tanti d'Italia, il gioco a ribasso dei governi sui numeri. E intanto spunta una talpa al tribunale di Palermo

La lotta alla criminalità è da sempre il fiore all’occhiello di ogni governo, almeno sulla carta. Proclami e nobili intenzioni che restano puntualmente tali e, spesso, convivono con i tagli alle forze dell’ordine. A giudicare dai risultati, però, il nostro è davvero un paese sicuro: sono solo otto i latitanti di “massima pericolosità” ancora ricercati consultabili sul sito del ministero dell’Interno.

Ritratti d’autore. Troviamo, così, una galleria d’eccezione: per Cosa Nostra il superboss Matteo Messina Denaro – organizzatore, tra le altre “imprese”, della sparizione del piccolo Giuseppe Di Matteo, sciolto nell’acido – e Giovanni Motisi, l’assassino del commissario Beppe Montana. Accanto a loro, spazio per i camorristi Marco Di Lauro e Pasquale Scotti e per un rappresentante dell’Anonima sequestri sarda, Attilio Cubeddu. Ma il gruppo più nutrito è quello della ‘Ndrangheta, a suffragare ancora una volta la tesi di una superiorità guadagnata sul campo ai danni della mafia siciliana. A farsi uccel di bosco per il clan calabrese Rocco Morabito, Ernesto Fazzalari e Giuseppe Giorgi.

Tagli alla lista. Fino al 2009 i superlatitanti erano ben 30. Nel frattempo, però, al Viminale era arrivato Roberto Maroni, l’uomo dal pugno di ferro che dichiarò una guerra senza quartiere al crimine. Con un lifting un po’ maldestro (da non dimenticare l’assegnazione alle forze di Polizia delle insostenibili Jaguar confiscate alla mafia) la lista dei 30 superlatitanti si trasformò in una top eight. È vero che sono sei i superlatitanti arrestati dal 2013 ad oggi. Dal 2009 in poi, però, dal sito del ministero dell’Interno sono sparite le riserve, 100 latitanti che – man mano che qualcuno dei “big” veniva catturato – entravano a far parte dei 30 di “massima pericolosità”. Tagli, anche questi, probabilmente dovuti alla spending review.

Politici cercansi. Nessuna traccia nei siti istituzionali, invece, dei due “desaparecidos” dell’ultima ora. Se Marcello Dell’Utri, riparato in Libano per controversi motivi di salute, potrebbe essere estradato a breve –manca solo il sì del Consiglio dei ministri libanese, che si riunirà domani – più complicato è l’affaire Matacena. L’ex deputato del PDL sta tribolando a Dubai, pare addirittura che stia sbarcando il lunario facendo il maître, ma di tornare agli agi italiani non se ne parla. Negli Emirati Arabi Uniti, infatti, non esiste l’estradizione. Estradizione che si avvicina per la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, dopo la volontà della stessa «di tornare in Italia per chiarire tutto».

Talpe e segnali di fumo. E intanto ci sono novità proprio intorno a Scajola, l’ex ministro arrestato lo scorso giovedì per aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena: i due poliziotti in servizio alla Camera dei Deputati e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri arrestati stamane, nell’ambito delle indagini sulle infiltrazioni della camorra in Versilia, sono sospettati di essere le “talpe” che passavano le informazioni riservate a Scajola. Tra talpe, uccel di bosco e altri esemplari degni ospiti di un trattato di zoologia, qualcuno, invece, si è fatto vivo: una fonte ritenuta attendibile ha svelato alla Dia che Matteo Messina Denaro avrebbe nel tribunale di Palermo una talpa che lo terrebbe aggiornato sui movimenti di magistrati e investigatori. Se non ci ha messo la faccia, il buon Matteo, ha almeno mandato un suo rappresentante. Giustizia in progress.

Nino Fazio

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