Tre storie, tre fra le tante, di chi è fuggito dall’Ucraina per cercare rifugio in Italia dopo l’aggressione da parte della Russia. Sette mesi dopo lo scoppio della guerra, è il racconto di tre vite ma anche del Paese che le ha accolte.
Quello di Nikita è stato un lungo viaggio: ha lasciato Kharkiv da solo a marzo e ha viaggiato all’interno dei confini per un mese prima di riuscire a lasciare l’Ucraina. Si è mosso in treno e in macchina; per un po’ di giorni ha trovato rifugio in un villaggio nell’Ovest del Paese. Poi l’incontro con i volontari che lo hanno aiutato e, infine, la nuova vita in Italia.
Nikita Petukhov ha 21 anni e lui, a restare in Ucraina e combattere, non ci ha mai pensato: “Non ho esperienza, sarei inutile”, racconta a Lumsanews. “Io posso essere utile studiando, lavorando e aiutando economicamente”. Nikita frequentava l’università di Kharkiv, dove ha conosciuto i gestori dell’ufficio studenti internazionali. Grazie a queste conoscenze è riuscito ad arrivare in Italia, dove è stato accolto dall’università di Cassino. Nonostante il dramma vissuto e il costante pensiero alla famiglia e alla sua casa Nikita è allegro, la voce è piena di gioia e di entusiasmo mentre racconta la sua nuova vita. “Sto studiando economia globale e commerciale in inglese. Mi piace molto perché l’istruzione in Italia è diversa dall’Ucraina. È più difficile, qui bisogna studiare tanto”, spiega il ragazzo ridendo.
I volontari, le organizzazioni come Caritas e Croce Rossa e l’università hanno provveduto a tutto: cibo, vestiti, medicine, ma anche l’iscrizione alla facoltà magistrale e l’inserimento negli alloggi del campus universitario. Nikita sottolinea più volte la sua gratitudine verso il Paese che lo ha accolto: “Gli italiani sono amichevoli e mi aiutano a imparare la lingua, sono felice”. Abbiamo chiesto al ragazzo quali sono i suoi progetti per il futuro e lui ha le idee chiare su quello che vuole: “Mi piace studiare in Italia e voglio continuare. Voglio trovare un lavoro in un Paese dell’Unione europea, inclusa l’Italia, perché voglio aiutare la mia famiglia”.
Se fosse rimasto nel suo Paese, Nikita avrebbe visto solo bombe, morte e disperazione; ma, come dice lui stesso, “la guerra non è una cosa per tutti, specialmente se sei giovane, non hai esperienza e non hai finito gli studi”. Lui però è riuscito ad andare via, alla ricerca di una vita migliore e di opportunità da mettere a disposizione della sua madrepatria: “Io penso che quando la guerra finirà – conclude Nikita – al mio Paese serviranno persone come me, con un’educazione e i soldi per poter investire. Anche chi non combatte può aiutare la ricostruzione del Paese e l’economia dell’Ucraina”.
A Roma fin dall’inizio della guerra la comunità di Santa Sofia, Basilica di culto greco-cattolico, si è attivata per dare aiuto all’Ucraina. Ad oggi continua a stare vicino a coloro che nei mesi sono riusciti a raggiungere l’Italia, sostenendoli nel processo di integrazione.
Proprio a Santa Sofia incontriamo Victoria. La giovane donna e il suo bambino sono arrivati da Leopoli a Marzo. Prima a Terni, poi a Gravina in Puglia e da poco a Roma. “Sono venuta con mio figlio”, spiega a Lumsanews. La ragazza racconta che ha degli amici che ormai sono in Italia da più tempo: è grazie a loro che ha trovato un alloggio e anche un impiego temporaneo. Victoria è giovane e ha tanta voglia di recuperare ciò che la guerra le ha portato via. “In Ucraina avevo due negozi, sai?”, racconta. “Io sono stilista, faccio abiti da sposa e da cerimonia. Con la guerra ho perso tutto e adesso devo fare un nuovo progetto qua in Italia”. I suoi occhi si riempiono di lacrime ma anche di speranza. Victoria sta costruendo una nuova vita a Roma, sta imparando velocemente l’italiano e, da madre, pensa al futuro del suo bambino: “qui starà meglio. Voglio sistemare la nostra vita qui”. E conclude: “Il mio brand si chiama Phoenix e come mi dice sempre la mia amica italiana, come la fenice il mio brand deve rinascere in Italia”.
Marina, a differenza di Victoria, è arrivata a Roma senza conoscere nessuno. Lei e i suoi due bambini vengono dalla regione di Vinnycja, nel centro dell’Ucraina. Sono riusciti a raggiungere la Romania e da lì si sono affidati ai volontari. “Sono arrivata senza conoscere la lingua italiana e nessuna persona a Roma. Assolutamente senza niente”, spiega. “Siamo stati accolti dai volontari, famiglie italiane che sono state fin dai primi giorni accanto a noi. Ci hanno dato un alloggio, hanno aiutato i miei figli ad essere iscritti a scuola. Proprio di recente – racconta felice la donna – mia figlia ha iniziato la prima classe di elementare”. Per queste madri fuggite dalla guerra, vedere i propri figli giocare lontano dal pericolo delle bombe è la priorità; subito dopo ci sono la scuola e l’integrazione. Marina parla poi del suo Paese, adesso così rischioso e instabile: “Valutando la situazione in Ucraina e le condizioni in cui vivevamo, io vorrei rimanere qui in Italia. Ci stiamo trovando benissimo”.
Lasciare l’Ucraina a causa della guerra non vuol dire dimenticarla. Il pensiero è sempre lì, ai missili che distruggono le città, alle famiglie e agli amici che sono rimasti indietro. Chi arriva a Roma o nelle altre città che hanno aperto le porte non può fare a meno di valutare le sue nuove opportunità. A questo punto, però, le prospettive per il futuro sono molteplici: c’è chi come Marina pensa all’istruzione dei suoi figli; chi, come Victoria, spera di riaprire la sua attività; chi, come Nikita, vuole studiare, lavorare e avere così la possibilità di aiutare la ricostruzione del suo Paese. Ma c’è anche chi vuole tornare a casa il prima possibile. Lo racconta Maria, una donna arrivata a Roma a metà marzo con i suoi quattro figli: “Abbiamo trovato un alloggio grazie a una comunità che conosceva mio fratello. Abitiamo presso una famiglia italiana e gli siamo infinitamente grati per averci accolti”. Maria però non ci pensa a ricostruire la sua casa in Italia. “Il nostro sogno è tornare in Ucraina. E tutto quello che abbiamo imparato qua, le conoscenze ed esperienze le vogliamo riportare nella nostra casa e ricostruire la nostra Patria”.