Centouno minuti di spettacolo e di polemiche, con centouno motivi per riflettere. La gara tra Fiorentina e Inter di ieri sera traccia un solco in questa stagione, soprattutto per la storia di Luciano Spalletti all’Inter. La vittoria è vicina, ma l’arbitro Abisso si ferma, poggia la mano all’orecchio e corre a guardare lo schermo della discordia. Tutta Italia vede petto, lui vede braccio. La Var decreta il calcio di rigore.
Si chiude il sipario della partita, si apre quello del dibattito. Una decisione indigesta per il mister di Certaldo, che ai microfoni di Sky perde la testa. “La palla va sul petto e non è rigore”, dice il tecnico, che non si ferma qui: “È chiara la cosa, non c’è bisogno di fare votazioni per come si è tifosi”. L’attacco è diretto a Fabio Caressa, conduttore della trasmissione Sky Calcio Club e vittima della furia dell’allenatore. Un fiume in piena, che tracima nelle affermazioni in conferenza stampa: ”Dire che il fallo di mano di D’Ambrosio non era da dare è tossico”.
Uno Spalletti non nuovo a queste polemiche. Ha scaldato la gelida San Pietroburgo all’urlo di “ma quale emozione?”, per poi attaccare Bruno Giordano dopo i quarti di Coppa Italia tra la Lazio e la stessa Inter. Simbolo di un allenatore che si sente solo al comando, a tal punto da esorbitare il confine del rispetto dei ruoli. Attacca tutto e tutti, senza freni inibitori. Non giustificabile, visto che se il timoniere sbanda la nave affonda, e l’Inter rischia un crollo verticale.
Una rabbia funesta, figlia di una Var tutt’altro che salvifica. Ieri cinque episodi in una sola gara, un record. Uno strumento che sprofonda nell’abisso, dopo che ieri Abisso – guarda caso – ne ha decretato il punto più basso.